venerdì 10 ottobre 2014

Quando il cattivo è dentro di noi

di Ivan Vaghi

Non sono capace di fare mirabolanti analisi politiche, me la cavo meglio quando lascio esprimere l’emotività. Arma a doppio taglio, ti rende sincero ma anche (ah, Veltroni..) vulnerabile, però ci sono situazioni in cui proteggersi non è la priorità. Comincio con il fare autocritica: anche io ho votato Renzi. Una volta. L’ho fatto al ballottaggio per la segreteria del PD, perché pensavo che Bersani era il rappresentante di un sistema politico che dovevamo lasciarci alle spalle. Credo che sia stata l’unica volta in cui Renzi ha perso, perlomeno posso dire di non aver contribuito a metterlo dove si trova adesso. Magra consolazione, che comunque si basa su una logica discutibile.
Se qualcuno pensa di avere a che fare con un esponente frustrato di una minoranza insignificante si sbaglia, importa sega dell’incidenza relativa delle correnti all’interno del partito. Qui stiamo parlando di qualcosa di emotivamente distruttivo: la consapevolezza di aver sbagliato tutto, o di non aver capito niente, o di non essere riusciti a impedire il peggio, una di queste cose qui e forse tutte insieme. Quando il sindaco di Firenze andò in pellegrinaggio ad Arcore non avevamo capito che si trattava della definizione di una strategia, di un vero e proprio passaggio di consegne. Renzi si riproponeva di fare quello a Berlusconi non era riuscito completamente, confidando però nello stesso elettorato e utilizzando più o meno gli stessi metodi, soprattutto comunicativi. Avrei dovuto capirlo quando al banchetto delle primarie vedevo sfilare gente che con il PD non aveva mai avuto a che fare, che professava anzi simpatie di centrodestra o peggio. Pensavo: “che bello, stiamo portando via voti a Berlusconi”. Stupido ingenuo del cavolo. Mi dicono che non possiamo fossilizzarci sulla vecchia distinzione tra destra e sinistra, ma me lo dicono con lo stesso ghigno di chi cercava di convincermi che la mafia non esiste. Comodo farlo credere, in questo modo un premier nonché segretario del PD ha mano libera nel mettere in un angolo i sindacati e infierire sui più deboli.
Sono nato in un partito che aveva scelto il confronto come strategia politica e invece mi ritrovo in un partito che criminalizza il dissenso interno raffigurandolo come il nemico del popolo (più o meno quello che si diceva in Cina e in Unione Sovietica a chi non ubbidiva ciecamente); sono nato in un partito che nutriva l’esigenza di rivolgersi ai propri elettori per ogni questione importante e invece mi ritrovo in un partito ferocemente centralizzato in cui le decisioni sono prese da pochi, ben addestrati supercollaboratori; sono nato in un partito che sognava sistemi alternativi di sviluppo, attenzione alle problematiche ambientali, evoluzioni sociali e culturali, che privilegiasse il merito, le idee, la formazione. Mi ritrovo in un partito in cui vecchi politicanti e giovani vecchi si sono venduti l’anima per rincorrere comode poltrone. Dimenticando tutti i motivi per cui avevano deciso di far parte di questo partito. Insultando tutti quelli che continuano a crederci. Mi dicono che non c’è più differenza tra sinistra, destra e centro, forse è vero.
Non so se il PD sopravviverà a Renzi, sono però abbastanza certo che quello che ne risulterà sarà una cosa completamente diversa, probabilmente una DC restaurata, ma quella peggiore, che guardava a destra. Un ritorno agli anni ‘50 e ‘60 e non si capisce come si faccia a tacciare di conservatorismo quelli che la pensano diversamente. Ma la domanda che mi pongo è se quelli che la pensano come me sopravviveranno al PD. Di soluzioni non ce ne sono, nel senso che andarsene vorrebbe dire fare la stessa fine dei vari Rutelli e Fini, annotazioni a calce di un libro che non leggerà mai nessuno, ma per stare dentro ci vuole un fegato grosso così. Per sopportare le minchiate dei nostri alleati di governo ci vuole un fegato grosso così. Per osservare impotenti la deriva di quello che pensavamo possibile ci vuole un fegato grosso e un’anima anestetizzata.
È davvero questa la modernità? La direzione verso cui dovrà andare il nostro paese è quella che ci vuole insegnare Renzi? Se è così allora il cattivo sono io, il cattivo è dentro di me e non dentro il PD. Allora vuol dire che il gattopardo ha vinto ancora una volta, non solo, vuol dire che il gattopardo è l’unica soluzione e bisogna sostenerlo.
Non mi avrete. Se la storia è questa è meglio stare fuori dalla storia, se il cattivo sono io forse dovrei togliere il disturbo, ma mi trattiene la rabbia di doverla dare vinta a quelli che stanno usando il PD per raggiungere le loro personalissime ambizioni, che non c’entrano niente con il bene del partito e tanto meno del paese. Forse deve solo passare la notte, come diceva un geniale drammaturgo napoletano, forse è necessario che passi ancora una volta un tempo sprecato inutilmente e aspettare di raccogliere i cocci per ricominciare da campo. Mi trattiene il pensiero che la politica la fai anche quando non vuoi, con le tue scelte, le tue prese di posizione, quando scrivi una cosa come questa, quando decidi che ci sono cose che ti stanno bene ma anche (ah…) cose che non sei disposto ad accettare. Quando ti alzi la mattina e sai che non hai niente da rimproverarti e che sei fedele a quello in cui credi profondamente allora stai facendo politica. E allora pensi che forse puoi rompere meglio le balle da dentro che da fuori.

Non so cosa ne sarà del PD, spero che in qualche modo ce la possa fare, spero che il cattivo, dovunque sia e chiunque sia, non l’abbia vinta.