mercoledì 24 aprile 2013

Dare ragione alla passione

C'è un passaggio che mi è rimasto impresso, e che ogni tanto mi ritorna alla mente, del bel libro scritto da Ivan Vaghi, «Tra la vergogna e l'avvenire - La guerra di Liberazione a Solbiate Olona» (al quale ho contribuito solo marginalmente). Si tratta di un passaggio che fa parte della scheda che cerca di descrivere la figura di don Angelo Grossi, coadiutore dal 1939 della parrocchia di Solbiate e cappellano della locale caserma. Sebbene sia poco credibile, a causa di alcune discordanze storiche, che già nel settembre del 1943 ci fosse una banda partigiana da lui guidata - come alcune testimonianze ci hanno restituito -, «è sicuramente possibile però che alcuni partigiani solbiatesi abbiano maturato proprio in oratorio e proprio dalla frequentazione di don Angelo Grossi la decisione di entrare in clandestinità o di inquadrarsi nelle brigate partigiane, anche se l'attività di don Angelo, e non poteva essere altrimenti, non era sicuramente di natura violenta».

Il passaggio che mi ritorna spesso alla mente, quando penso alla Resistenza e alla partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, è il seguente, tratto dall'articolo «Un prete partigiano», scritto da Luciano Vignati (partigiano di Busto Arsizio) e pubblicato sul settimanale «Luce» il 13 luglio 1980:
Ricordo con molta simpatia alcuni momenti di quella vita dura e rischiosa. Quando don Angelo notava in me i segni della stanchezza fisica non poneva indugi, come una buona mamma si dava da fare ai fornelli e recuperava dalla cantina una buona bottiglia, obbligandomi alla sosta ristoratrice. Capitò più volte di dover passare la notte a Solbiate per via dei controlli e del coprifuoco, ed allora, messa al sicuro la bicicletta, mi faceva dormire in un comodo letto vicino alla sua camera. «Se viene qualcuno prima vede me e tu sei più sicuro», poi ancora: «se non rinnovi le energie non puoi avere la forza di continuare a combattere».
Sono le due figure che si aiutano vicendevolmente, nella dimensione pubblica e in quella privata, a riprodurre plasticamente, nella condizione estrema della guerra, la passione politica che diventa azione comune. E' sufficiente il virgolettato finale. La profondità che viene offerta da don Angelo Grossi, «prima vede me», così come le acque danno profondità al sottomarino* e le strette vallate al combattente di montagna, è uno dei caratteri distintivi del partigiano. Ma la profondità sarebbe nulla senza la mobilità, che permette al partigiano di entrare e uscire dalla profondità stessa, per tornare sulle strade a combattere in nemico, forte del ristoro ricevuto, «se non rinnovi le energie non puoi avere la forza di combattere». E' in queste dinamiche di razionale complicità che si saldano la passione e l'azione pubblica.

Ho scritto «razionale» non a caso. Razionale nel senso di logico, ragionato, puntuale, così come i meccanismi di partecipazione pubblica che i partiti e i corpi intermedi della società devono mettere in moto. Un mio amico mi diceva che dobbiamo costruire mulini a vento, perché là fuori c'è un «vento profondo» che soffia forte, una «energia romantica» che è passione e voglia di partecipare, così come fu anche il romanticismo, non solo «un movimento introspettivo ed emotivo, che procede dall'esperienza interna a quella esterna, ma si muove anche in senso inverso [...] alla costante ricerca di espressioni esterne degne di essa».** Queste espressioni degne devono essere i mulini a vento migliori possibili, capaci di raccogliere il vento e trasformarlo in energia meccanica che cambia le cose: strutture intermedie e partiti capaci di trasformare la passione in azione, di dare ragione alla passione, di dare senso alle cose.

Nel legame tra passione, ragione ed azione è passata la Liberazione dell'Italia. E questa è solo una delle tante cose che di quell'esperienza dobbiamo custodire.

* l'immagine del sottomarino è presa in prestito da un bellissimo libro di Carl Schmitt, Teoria del Partigiano.
** Paul Ginsborg, Salviamo l'Italia.

s.

sabato 20 aprile 2013

Perché non Rodotà?



Come sapete, ho votato tre volte Rodotà e ieri, alla quarta, Romano Prodi. Come me, hanno fatto molti parlamentari del Pd eletti con le primarie, a prescindere dagli schemi correntizi. E sulla base dello stesso principio, tanto che qualche giorno fa parlavo della linea Prodotà contrapposta alla linea D’Amato (che sono le due vere opzioni in campo).
Sono intervenuto l’altra sera per dire che Marini non era una soluzione, e non sono stato franco tiratore, ma solo franco. I tiratori, come si è dimostrato ieri, sono altri.
Ho proposto, insieme a Renzi e a tanti altri, che il candidato alla quarta fosse Romano Prodi, perché credevo che sarebbe stato un ottimo Presidente della Repubblica e che avrebbe potuto trovare i voti del Pd, quelli di Monti (trovo incredibile che Monti non abbia votato Prodi, o forse no) e aprire un dialogo con il M5S sul futuro di questa legislatura. Ho parlato con decine di deputati del M5S per spiegare loro che ci avrebbe consentito di fare le cose che in queste pagine abbiamo sempre scritto, ma non c’è stato verso, perché loro avevano Rodotà. Inutile ragionare. Nemmeno del fatto che l’elezione di Prodi avrebbe potuto spostare l’attenzione dall’asse Pd-Pdl a quello del Pd-M5S, che era il vero obiettivo. Mi hanno detto che è vecchia politica. Infatti sarà eletto un presidente che non è Prodi, e nemmeno Rodotà. All’insegna della coerenza, chiaramente.
Non abbiamo ‘abbandonato’ Rodotà, come scrivono molti commentatori che la sanno lunga: abbiamo solo cercato di mantenere uno schema non inciucista (per capirci) che avesse anche i voti. E Prodi era la persona giusta, credevamo, per tenere insieme questi due principi.
Ora, molti chiedono: “perché non Rodotà?”. E si incazzano anche con me, che Rodotà l’ho pure votato. Tre volte. La risposta la trovate qui sotto: Rodotà non ha i voti, in quell’aula. Se il Pd non ha votato Prodi, è un po’ difficile immaginare che voti Rodotà. Perché c’è una parte del Pd che non guarda al M5S ma a destra. Spero sia chiaro a tutti. Ed è questo il vero problema.
Possiamo anche andare avanti con Rodotà, ma rischiamo di bruciare definitivamente anche lui. Potremmo chiedere di votare nel gruppo, e anche se passasse a maggioranza, nessuno potrebbe prevedere poi che cosa succederebbe in aula. Ai commentatori scatenati sottopongo questa riflessione: se ci sono stati 100 franchi tiratori per Prodi, quanti ce ne sarebbero per Rodotà?
Non sono le primarie, né un Congresso. C’è il voto segreto e bisogna avere una maggioranza altissima. Spero sia chiaro anche questo.
E, da ultimo, vorrei aggiungere una cosa: che è bellissimo tifare, ma preferirei trovare una soluzione che passi, non solo un bel nome da ricordare. Perché con la gestione della candidatura di Rodotà, che ieri per altro tutti dicevano sarebbe stata ritirata da Rodotà stesso, non si sono aperti spazi di condivisione. Per colpa di quella parte del Pd, certamente, ma anche di qualcun altro. E ve lo dice uno che ci sta lavorando, a quello schema del famoso cambiamento (quello vero), dal primo giorno.
La domanda corretta, quindi, non è “perché non Rodotà?”, ma la seguente: “Rodotà può diventare Presidente della Repubblica, raggiungendo i 505 voti necessari?”.

domenica 14 aprile 2013

Come gestire i problemi locali di interesse sovracomunale?

Della serata di venerdì, dedicata a Elcon, gestione dell'acqua pubblica e fiume Olona, rimarrà sicuramente la rabbia dei cittadini. Il dibattito, infatti, è stato molto acceso, probabilmente perché i cittadini percepiscono l'esistenza di un muro impossibile da scalfire, dietro al quale stanno le soluzioni a questi problemi. E i sindaci insieme a loro. 
Se cittadini e Comuni non sono in grado di incidere sulle scelte politiche che riguardano problemi estremamente prossimi ma che hanno, allo stesso tempo, una portata più ampia, di carattere regionale (come l'inquinamento delle acque dell'Olona), se la Provincia viene percepita come un ente distante, incapace di agire al di fuori dell'ordinaria amministrazione e di esprimere una progettualità, se la Regione manca di volontà politica per mettere in campo soluzioni, come si esce dall'angolo? Partendo da questa domanda propongo una piccola riflessione, che spero raccolga qualche commento.

Un esempio del "cortocircuito" che si crea tra i diversi livelli istituzionali è rappresentato dal PGT di Solbiate Olona. Durante l'elaborazione di questo, la Provincia e l'ARPA (un ente regionale) criticarono alcune scelte contenute nel documento, soffermandosi in particolare sulla gestione di un pezzetto di territori che fa parte di «un ambito agricolo di PTCP (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale), peraltro in rete ecologica regionale». Il Comune di Solbiate decide di proseguire per la propria strada, controdeducendo le osservazioni. La Provincia ricorre al TAR. Il Comune mette in campo gli avvocati. 

E l'area di cui stiamo parlando si trova a fianco del nuovo svincolo di Pedemontana, ritenuto da alcuni inutile e da altri utile per eliminare il traffico (soprattutto quello pesante) dalla Valle Olona. Dallo stesso svincolo parte la famosa «tangenzialina» che taglierà il Parco del Medio Olona fino a Castelseprio. Problematiche che vanno oltre il singolo Comune, per coinvolgerli tutti. Così come i PGT di Fagnano Olona o di Olgiate Olona non potranno che incidere anche sul territorio di Solbiate. Ma i processi decisionali quanto sono realmente condivisi e partecipati dai cittadini della Valle Olona? Non sarebbe conveniente una visione più ampia del territorio?

Due problemi, quindi: uno verticale, tra i diversi livelli istituzionali. Uno orizzontale, di gestione del territorio che muove da una visione limitata (al proprio Comune). Su questo secondo aspetto si sofferma uno studio realizzato da due professori del Politecnico di Milano (qui) secondo il quale più è piccolo un Comune (in termini di abitanti) più sono i metri quadrati che lo stesso consuma per l'insediamento di un nuovo abitante. Le cause sono diverse, ma sintetizzabili nell'insufficiente dotazione di strumenti e risorse dei comuni più piccoli, dove di conseguenza gli interessi privati trovano più facilmente soddisfazione. Si tratta di un problema diffuso a livello nazionale, poiché la maggior parte dei comuni italiani hanno meno di 5.000 abitanti e in questi risiede il 17% degli italiani, i quali gestiscono il 54% del territorio (sapete quali sono i comuni lombardi con maggiore estensione territoriale? Qui la risposta). 

Tornando al punto, mi chiedo: per una gestione del territorio e delle problematiche che lo riguardano (il fiume, Elcon) di maggiore respiro, pensare a una Unione di Comuni è ipotesi tanto scellerata? Allo stesso tempo, incentivando le Unioni, magari si potrebbe superare il sistema delle Province. I responsabili delle concessioni delle deroghe agli scarichi nell'Olona, a quel punto, sarebbe il sindaco di un Comune di medie dimensioni, che potrebbe comunque essere incalzato dalla cittadinanza ma che godrebbe anche del peso politico necessario per confrontarsi direttamente con la Regione. Avrebbe anche maggiori risorse, sia economiche - ottimizzando la gestione di alcuni servizi, ma comunque senza perdere in qualità e in "prossimità" -, che umane che tecniche e potrebbe realmente gestire un territorio che di fatto è omogeneo, ha vocazione economica omogenea, ha una storia comune, con un approccio complessivo che lo consideri nella sua totalità. 

Convenzioni tra i Comuni sono già attive (penso al servizio di Polizia Locale) può essere un'idea valida quella di ampliare i servizi gestiti in maniera coordinata, a partire da quelli relativi a urbanistica, territorio e questioni ambientali? Parliamone.

S.

martedì 9 aprile 2013

Venerdì 12 aprile, al Centro Socio-Culturale

Venerdì 12 aprile, alle ore 21.00 presso il Centro Socio Culturale, in via Patrioti, 31, l'amministrazione Comunale ha organizzato una serata per discutere di tre temi, con i rappresentanti politici e istituzionali dei vari livelli di governo, da quello comunale a quello regionale.

I temi trattati saranno:

  • Il caso Elcon;
  • Il fiume Olona;
  • La gestione delle acque in provincia.
Come rappresentanti del Partito Democratico parteciperanno Alessandro Alfieri, capogruppo del PD in Regione, e Alberto Paleardi, Presidente della Commissione del Comune di Saronno sul torrente Lura e membro del CDA del relativo parco sovracomunale.

venerdì 5 aprile 2013

La sostenibile pesantezza di Renzi


di Ivan Vaghi

Credo che si presti bene la metafora delle sabbie mobili: più ti agiti più affondi, per venirne fuori devi stare calmo e accettare l’aiuto di qualcuno, anche se non ti sta molto simpatico. Il PD è nelle sabbie mobili, anche l’Italia nel suo complesso lo è così come il nostro Presidente, che si è accontentato di un escamotage completamente inutile perché non sa che pesci prendere. I dieci saggi devono stabilire quali sono le priorità. Capirai, anche mia nonna sa quali sono le priorità, basta chiedere a lei senza perdere tempo e si risolve tutto, ma evidentemente non è questo il loro obiettivo.
Ma restiamo in casa. Bersani ha voluto con tutte le sue forze chiedere l’elemosina al Movimento 5 stelle. Mia nonna mi ha telefonato per dirmi che si stava andando a schiantare contro la sua fine politica. “E contro la fine politica di tutti quelli che ha intorno”, ho aggiunto io. “Quelli sono già finiti da tempo”, mi ha risposto. Mia nonna ha preso la licenza elementare studiando per conto suo quando era già nato il suo primo nipote, ma si sa, i contadini hanno il cervello fino, mica conta il titolo di studio. Quello che invece è successo ha del surreale: Bersani è andato dal suo peggior nemico con il cappello in una mano e con una spada da samurai nell’altra, quindi ha consegnato la spada a Grillo perché gli tagliasse la testa. “Non può essere così facile”, diceva Grillo tra sé. Invece sì, era proprio così facile.
Già che ci siamo diciamocela tutta: più passa il tempo più provo sospetto e compassione per i grillini. Provo sospetto perché stiamo parlando di un’esperienza politica rivoluzionaria ma in senso negativo, visto che il loro obiettivo è quello di eliminare i livelli intermedi del controllo democratico (partiti, sindacati, giornali ecc.). In questo modo sarà più facile instaurare un sistema di controllo assolutistico in cui il capo comanda e tutti gli altri sono costretti a obbedire. Il loro progetto a breve termine a questo punto è chiaro: facciamo fallire la legislatura, alle prossime elezioni vincerà ancora Berlusconi, il paese piomberà definitivamente nel caos e a quel punto arriviamo noi e ci prendiamo tutto. Sulla pelle degli italiani ovviamente.
Provo invece compassione per tutti quegli attivisti grillini in buona fede che si stanno facendo manipolare e per tutti quelli che li hanno votati confidando, con speranza e disperazione, di trovare finalmente qualcosa di buono in qualcuno. Perché qualcosa di buono c’è, indubbiamente, ma ho sempre più la convinzione che sia un mezzo e non un fine.
Quindi, che si fa? Facciamo un accordo con Berlusconi così decide tutto lui? Sì, perché in quel caso mica si può più parlare di corruzione, evasione fiscale, riforme varie e tutte quelle belle cose che abbiamo in mente di fare. Zero, kaputt, verrà solo tolta l’IMU senza copertura finanziaria e poi sarà un lungo viaggio verso la rovina del paese con il PD protagonista e responsabile. Vogliamo fare il gioco di Grillo e consegnare del tutto il paese a Berlusconi? Perché di sicuro le prossime elezioni le vince lui:  la facilità di assimilazione della massa è assai ristretta ed il suo intendimento è piccolo, per contro, la sua smemoratezza è grande (Adolf Hitler, Mein kampf). Detto altrimenti: il popolo lasciato a se stesso sceglierà sempre Barabba (mia nonna), concetto molto chiaro sia a Berlusconi che a Grillo.
Agitarsi nelle sabbie mobili porterà a questo tipo di risultati, quello che invece Bersani deve fare è accettare il destino del politico responsabile: mettere in primo piano il bene del paese a costo di sacrificare se stesso. Che è come dire che lui e la sua cricca si devono fare da parte, non prima però di un ultimo, prezioso scatto d’orgoglio: rifiutare con sdegno qualsiasi tipo di accordo con il PDL; impuntarsi per non eleggere al Quirinale un amico di Berlusconi (e nemmeno il Berlusca stesso, va da sé); costringere Grillo a dire ai suoi elettori che le cose si potevano anche cambiare ma che il M5S ha preferito non farlo perché non ne aveva voglia; infine sostenere Renzi come candidato premier alle prossime elezioni, l’unica possibilità per non far vincere Berlusconi di nuovo. Renzi non mi sta simpatico, è un fanatico del personalismo, si basa su un corpus di idee politiche discutibili, non disdegna qualche deriva populista e nemmeno di piegare le regole a suo favore. Però è quello che sta tendendo la mano per tirarci fuori dalle sabbie mobili e anche se non ci sta simpatico non siamo nelle condizioni di rifiutarla. La priorità è salvare il paese, poi al limite ci mettiamo a discutere per alleggerire la sua pesantezza (che non è insostenibile ma nemmeno trascurabile).