lunedì 28 giugno 2010

Una pantegana, più che un topolino

Son stati necessari tre ministeri per pensare una porcata simile.

Il federalismo demaniale è il topolino partorito da un gigantesco elefante costituito da ben tre ministeri. Questo prevede che parte del demanio pubblico venga trasferito agli enti locali. La curiosa coincidenza è che ciò avvenga nello stesso momento in cui B annuncia che i tagli alle Regioni e ai Comuni ci saranno, eccome se ci saranno.

E così ti succede che gli enti locali si trovano in mano

L’isolotto di Santo Stefano, vicino a Ventotene, con il carcere borbonico dove fu imprigionato Sandro Pertini. Il museo di Villa Giulia, a Roma, e l’Idroscalo di Ostia dove uccisero Pier Paolo Pasolini. Il faro di Mattinata, sul Gargano. L’ex forte di S. Erasmo a Venezia. Parti delle Dolomiti. E ancora boschi, terreni agricoli, fonti di acqua minerale.

Praticamente per definizione, quando un Comune si trova in difficoltà economiche vende il proprio terreno ai privati. Ora i Comuni, schiacciati dai tagli, si troveranno in mano un vero e proprio tesoro, da poter vendere ai privati.

mercoledì 23 giugno 2010

L'ultima roccaforte

di Ivan Vaghi

Con i giornali e i telegiornali è stato facile, è bastato comprarli. La magistratura sta per essere messa sotto il controllo del governo attraverso quella che viene chiamata “riforma della giustizia”, e che invece è solo il modo per metterci le mani sopra. Per farla digerire agli italiani stanno utilizzano i giornali e i telegiornali (comprati in precedenza) per dire che i magistrati sono dei delinquenti, quando invece è più probabile il contrario. Le rete infine sta per essere imbavagliata da norme che trasformeranno in crimine le opinioni. Mancava solo una cosa: il mondo della cultura e del pensiero, l’ultima e unica fonte rimasta di elaborazione critica del mondo. Potevano dimenticarsela? Certo che no: tagli alla cultura, ai teatri, al cinema e a tutte le forme d’arte, attacco frontale alla scuola, smantellamento dell’università, annullamento della ricerca.
Come non vederci una strategia in tutto questo? Basta guardare alle nomine dei ministri: lo “yesman” Alfano per la giustizia e il fenomeno Gelmini per l’Università, che per ottenere l’abilitazione ad avvocato è andata a fare l’esame a Catanzaro perché dalle nostre parti non ci riusciva. Niente contro i calabresi, ma che da quelle parti sia più facile è universalmente noto. Serviva una faccia simpatica come paravento per demolire l’ultima roccaforte, e l’hanno trovata in una delle tante amiche del cavaliere.
La scusa è bell’è pronta, quella crisi economica che impone tagli che devono riguardare tutti i settori. Peccato che i tagli a università e ricerca siano cominciati da tempo, e che siano continuati anche quando la crisi veniva negata. La Germania, che ha varato una manovra più pesante della nostra, ha però aumentato notevolmente i fondi per la ricerca, e così hanno fatto Francia e Gran Bretagna, perché l’equazione è semplice ed è conosciuta da tutti: quando le cose vanno male bisogna investire per capire come farle funzionare meglio. Pare che in Italia si siano distratti. Dicono che cultura e scienza devono mettersi sul mercato e reperire da lì i propri fondi. Peccato che i milioni necessari a produrre il film “Barbarossa”, visto nelle sale da circa quindici persone, siano venuti da fondi pubblici. Ma si sa che i leghisti predicano bene ma razzolano peggio di tutti. Diciamo solo che quasi tutta l’arte che abbiamo in Italia è stata prodotta da finanziamenti pubblici. Se ad esempio lo Stato della Chiesa non avesse ingaggiato Michelangelo adesso non avremmo la Cappella Sistina. Se poi parliamo della ricerca medica si può facilmente intuire come le ditte farmaceutiche, gli unici privati interessati a finanziarla, non sono particolarmente felici di debellare le malattie. A loro interessa che i malati, possibilmente cronici, continuino ad esistere.
I nostri governanti lo sanno benissimo, ma è molto più importante per loro togliere forza a potenziali oppositori. Intellettuali, artisti, scienziati, e ci mettiamo pure i blogger, forti dei loro strumenti di analisi e di intervento libero e critico sulla società, sono un pericolo troppo grande, da stroncare a tutti i costi. E lo stanno facendo.
Molto meglio una società massificata su livelli da Grande Fratello, liberata da chi possa insinuare il sospetto che non sia quello il futuro che dovremmo chiedere per noi stessi. Una società controllabile, contenta di essere manipolata, che quando ha finito di produrre possa essere piacevolmente sbattuta in mezzo a una strada, visto che elimineranno anche pensione e liquidazione. Per riuscirci stanno annullando tutta una generazione, esclusa dal lavoro perché costretta a precariati avvilenti o talmente disillusa da non cercare nemmeno più un lavoro; esclusa dalla cultura e dalla scienza perché fatta rimanere senza possibilità di esprimersi e costretta quindi ad emigrare; esclusa dalla possibilità di manifestare le proprie opinioni perché vengono eliminati gli ambiti in cui poterlo fare. Resistere forse non sarà più nemmeno concepibile, ma è l’unica possibilità. Per quello che mi riguarda, e fino a che ci riuscirò, contribuirò a presidiare l’ultima roccaforte.

martedì 22 giugno 2010

Vi racconto dell'ENSE

L’Ente Nazionale delle Sementi Elette, al di là della pomposità del nome, è un ente strategico per l’agricoltura italiana, perché si occupa dello studio e della salvaguardia dei semi utilizzati nel nostro paese, e quindi è il nostro garante della qualità per i prodotti ortofrutticoli. Si trova a Milano (con sedi distaccate in tutta Italia), dà lavoro a un centinaio di persone tra ricercatori e personale tecnico e amministrativo, ed è pure in attivo di qualche milione di Euro. In teoria è un ente pubblico ma di fatto i suoi finanziamenti vengono dai privati, perché lo Stato compra i servizi forniti, ma non tira fuori un soldo per quanto riguarda stipendi e gestione delle strutture.
A Roma invece c’è la sede di un altro ente, l’INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione). Anche questo è un ente strategico, perché dovrebbe dare le direttive su come confezionare e utilizzare gli alimenti che arrivano sulle nostre tavole. Questo ente però è totalmente a carico dello Stato, ed ha accumulato passivi per svariati milioni di Euro.
Cosa lega queste due realtà? Il fatto che la nuova Finanziaria, nell’ottica dell’eliminazione degli enti inutili, ha deciso di intervenire su di loro. Non stupitevi, ma la decisione sarà quella di abolire l’ENSE e passare le sue attività all’INRAN, che non si è mai occupata di sementi e del loro utilizzo. Questo vuol dire che verrà smantellata un’azienda che produceva utili, con il conseguente licenziamento di tutti i precari (soprattutto giovani ricercatori, ovvio), e il trasferimento a Roma degli altri. Se poi non vogliono trasferirsi allora se ne possono andare. In un paese civile chiudere un’azienda in attivo per ripianare i debiti di una in passivo comporterebbe l’arresto immediato dei furbastri che l’hanno pensato. In Italia invece è una cosa normale, direi quasi doverosa.
In teoria questo sarebbe un bell’assist per avvalorare slogan propagandistici tipo “Roma ladrona”: un’attività produttiva del Nord che viene sacrificata per gli sprechi romani. Invece mi risulta che la Lega stia mantenendo un silenzio colpevole. La verità è che i leghisti sono troppo affezionati alle loro poltrone romane e ai fiorenti stipendi relativi per muovere appunti di tal genere al tavolo dei ministri. Poi vanno a Pontida e pontificano… Ma andate a zappare, che c’è bisogno.

domenica 20 giugno 2010

"Come mai, come mai...

…sempre in c..o agli operai?” E’ lo slogan cantato dagli operai di Pomigliano. Bisogna capirli, sono davanti a un problema di occupazione e di retribuzione, accentuato dal fatto di vivere in una zona economicamente depressa. Ora si chiedono loro sacrifici, perché c’è la crisi, dicono, anche se fino a poco tempo fa dicevano l’opposto. Ora si fanno grandi proclami di tagli alle spese e di sacrifici per tutti i cittadini. Tutti, come no. Togliere qualcosa a chi ha già poco può essere un dramma, togliere qualcosa a chi ha moltissimo non è nemmeno un fastidio, non se ne accorge nemmeno. Ora, con la pistola alla tempia, i lavoratori di Pomigliano accetteranno i sacrifici che sono stati pensati per loro. Molti forse non si stanno ancora rendendo conto degli ulteriori sacrifici che saranno costretti a subire quando gli enti locali taglieranno servizi sociali, così come dettato dalla prossima Finanziaria.

Mi chiedevo, in questa situazione di potenziale tensione sociale, dove si trova il PD. Il PD è il partito che per primo ha cercato di smascherare le palle pseudo ottimistiche di mister B. Il partito che con un impulso di dignità ha lasciato l’aula dove si votava il decreto anti-intercettazioni, rievocando l’Aventino di epoca fascista e quindi dando anche un segnale fortemente simbolico al loro gesto. Segnale peraltro passato nella più assoluta indifferenza degli italiani, ma questo è tragicamente un altro discorso. Bene, date le premesse mi aspettavo di trovare il PD a fianco degli operai di Pomigliano. A spada tratta. E invece no, al loro fianco non c’è più nemmeno il sindacato. Anche questo è simbolico: gli operai, in generale i lavoratori più deboli, sono lasciati soli a combattere battaglie impossibili. Poi mi diranno che c’è troppo assenteismo, ma se il problema è quello che si combatta quello, non le famiglie dei lavoratori onesti, preda sicuramente più facile. Mi chiedo come mai il nostro partito faccia ancora così fatica a dire: “questo sì, questo no”. Come mai abbia così paura dell’accusa di essere “di sinistra” perché difende gli operai. Come mai, per correre dietro all’ambizione di essere un partito popolare e trasversale a tutti i ceti sociali, dimentichi le sue basi fondanti. Come mai.

P.S. Per la cronaca, c’è un precedente. Gli operai di Tychi in Polonia hanno accettato lo stesso ricatto dalla FIAT tempo fa. Le promesse dell’azienda a fronte dei sacrifici chiesti agli operai sono stati mantenuti solo in parte.


Ivan Vaghi

sabato 19 giugno 2010

Per l'acqua pubblica ci mettiamo la firma


Domenica 20 e domenica 27 saremo al gazebo del comitato referendario, presso la pesa pubblica, (incrocio via Patrioti - via IV Novembre) dalle 8.30 alle 13.00.

Noi ci mettiamo la firma, e vi aspettiamo numerosi, perché l'acqua non si tocca.

venerdì 18 giugno 2010

Nessuno tocchi i blog!


Art.1, comma 29 del ddl intercettazioni: i blogger devono pubblicare le richieste di rettifica in 48 ore o pagare fino a 12.500 euro. Aboliamo questa norma

Da pochi giorni in Senato la maggioranza con la trentesima fiducia ha approvato il ddl intercettazioni: un testo che tutela meglio i criminali dei cittadini e uccide il diritto ad essere informati. Tra i commi del testo ci sono attacchi e censure anche alla Rete. Una pagina davvero brutta per la democrazia italiana, il ddl intercettazioni dopo 2 anni di gestazione si dimostra un grande esproprio della democrazia e dell'informazione, dove le notizie cattive si sommano, e ora toccano anche il controllo e la censura della Rete. Come hanno indicato i senatori del Pd Vincenzo Vita e Felice Casson tra i tanti passaggi liberticidi e censori del maxiemendamento sulle intercettazioni ce n'è anche uno devastante per la rete. Infatti, per ciò che attiene alla 'rettifica', si equiparano i siti informatici ai giornali, dando ai blogger l'obbligo di rettifica in 48 ore. Il comma 29 dell’art. 1 prevede che la disciplina in materia di obbligo di rettifica prevista nella vecchia legge sulla stampa del 1948 si applichi anche ai “i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica”! I blogger all’entrata in vigore della nuova legge anti-intercettazioni, dovranno provvedere a dar corso ad ogni richiesta di rettifica ricevuta, entro 48 ore, a pena, in caso contrario, di vedersi irrogare una sanzione fino a 12.500 euro.. Ma un blog non è un giornale, il blogger non è un redattore, spesso gli aggiornamenti sono saltuari. Si può rischiare una maximulta perché magari si è in vacanza o non si controlla la posta? Ciò significa rendere la vita impossibile a migliaia di siti e di blog, ben diversi dalle testate giornalistiche. Lo fanno dimenticando che la rete è proprio un'altra cosa. L'emendamento del PD per modificare questa norma non è stato discusso perché la fiducia taglia tutto . Ma la destra abituata a usare la tv o non lo sa, o sperando nel silenzio prova a mettere le mani dove ancora non era riuscita a farlo. Non sappiamo se questo sia l’obiettivo perseguito o solo un effetto collaterale dell’ignoranza con la quale il centrodestra continua ad affrontare le dinamiche della ret e, di sicuro faranno passare ai più la voglia di occuparsi, on line, di informazione in ambiti o materie suscettibili di urtare la sensibilità di qualcuno ed indurlo a domandare - a torto o a ragione - la rettifica. Un ottimo silenziatore alle domande legittime dei frequentatori del web. Non finisce qui. I senatori PD vogliono presentare, d'intesa con i colleghi della Camera dei D eputati, un disegno di legge seccamente abrogativo della seconda parte della lettera a del comma 29 che recita per l'appunto: ''per i siti informatici sono pubblicate entro 48 ore dalla richiesta...''. Ci chiediamo se l'emendamento sarà sostenuto anche dai parlamentari di PDL e Lega che fanno parte dell'intergruppo web 2.0 e che nei convegni si esprimono sempre a difesa della libertà d'espressione in rete. Ora devono dimostrare alla rete che le loro non sono solo parole, da abolire a un cenno di Berlusconi. Chiediamo loro di firmare e votare l'emendamento PD al comma 29 per abolire l'obbligo di rettifica in 48 ore per siti e blog.

Giuseppe Civati

Paolo Gentiloni

Matteo Orfini

COSA PUOI FARE:

- firma l'appello
- metti il badge sul tuo sito, blog
- facci sapere se metti il badge inserendo il link nei commenti
-metti l'appello come status su facebook utilizzando il facebook connector

Clicca qui per maggiori informazioni.

sabato 12 giugno 2010

Bisogna fermare questa legge

di Roberto Saviano tratto da "la Repubblica" del 12 Giugno 2010

La legge Bavaglio non è una legge che difende la privacy del cittadino, al contrario, è una legge che difende la privacy del potere. Non intesa come privacy degli uomini di potere, ma dei loro affari, anzi malaffari. Quando si discute di intercettazioni bisogna sempre affidarsi ad una premessa naturale quanto necessaria. La privacy è sacra, è uno dei pilastri del diritto e della convivenza civile. Ma qui non siamo di fronte a una legge che difende la riservatezza delle persone, i loro dialoghi, il loro intimo comunicare. Questa legge risponde al meccanismo mediatico che conosce come funziona l'informazione e soprattutto l'informazione in Italia. Pubblicare le intercettazioni soltanto quando c'è il rinvio a giudizio genera un enorme vuoto che riguarda proprio quel segmento di informazioni che non può essere reso di dominio pubblico...


venerdì 11 giugno 2010

Perché non sono federalista

di Ivan Vaghi

Il dibattito è aperto da tempo, se vogliamo è l’unica indicazione puramente politica introdotta dalla Lega, e adesso sembra che il procedere verso il federalismo sia quasi inevitabile. Lo stesso PD è sostanzialmente favorevole al federalismo fiscale, anche se queste aperture sembrano quasi avere l’aria di un tentativo di recuperare terreno perduto affrontando gli stessi argomenti che hanno fatto la fortuna proprio della Lega. Si corre il rischio di essere patetici, e anche se il concetto ha sicuramente senso in politica la domanda è: siamo sicuri che possa contribuire a risolvere i mali del nostro paese?

A suo tempo Cavour e soci, di fronte alla decisione se costituire uno stato federale o centralista, scelsero quest’ultimo, perché l’Italia era talmente disomogenea che decentralizzare il potere faceva correre il rischio di alimentare spinte separatiste, che avrebbero vanificato tutto il lavoro di unificazione. A distanza di 150 anni purtroppo le cose non sono migliorate granché e quel concetto resta a mio parere valido. Il federalismo fiscale avrebbe come risultato di scavare ancora di più le differenze tra Nord e Sud, e sarebbe il vero cavallo di Troia del federalismo politico, che a sua volta, alla lunga, potrebbe essere l’abbrivio per una vera e propria secessione. La Lega questo lo sa bene, o perlomeno ci spera, il PD non lo so.

Io non sono federalista e non sono nemmeno favorevole al federalismo fiscale perché quello che conta è come vengono amministrati i soldi, non quanti sono. La Lega, che diventerà la vera protagonista politica di uno stato federalista del Nord, si è già resa corresponsabile della moltiplicazione del numero delle provincie, ad esempio, così come della corsa alle poltrone che più sono meglio è e ce le prendiamo tutte noi. Ho timore di come verrà gestita la spesa pubblica nelle loro mani, così come sono terrorizzato dalla piega che prenderanno aspetti strategici come la scuola, la cultura, la ricerca. La Lega è la quintessenza della versione egoistica della politica e della società, e il Nord Italia correrà l’ulteriore rischio di essere isolata politicamente a livello internazionale. Lo sappiamo bene cosa Bossi e soci pensano dell’Europa, a meno che non si tratti delle poltrone di Strasburgo.

Per il Sud invece il federalismo fiscale sarebbe una tragedia, perché la politica assistenzialista di questi 150 anni ha reso le regioni meridionali dipendenti in ogni modo dalla fiscalità dello Stato italiano. Il mancato accesso a questi fondi consegnerebbe il Sud Italia all’area economica del Nord Africa. E’ chiaro che bisogna intervenire, ed energicamente, con riforme anche strutturali. Bisogna stimolare l’attività privata per trasferire dallo Stato alle imprese parte del peso economico del mantenimento della famiglie. Ma la bacchetta magica non è il federalismo, che anzi toglierebbe risorse potenzialmente utili per gli investimenti, quanto la (vera) lotta alla criminalità organizzata e l’emancipazione del Sud dal suo ruolo di semplice riserva di voti (attraverso l’assistenzialismo), che sono stati il vero limite al suo sviluppo sociale ed economico. Ma queste sono scelte politiche che può fare anche uno stato centralista, ma non è detto che le faccia uno stato federalista solo perché è tale. In Italia quindi il federalismo, compreso quello fiscale, non risolverebbe i problemi, o perlomeno non di tutti gli italiani. A meno che non vogliamo più considerarci un popolo.

giovedì 10 giugno 2010

"Acqua pubblica, ci metto la firma"

di Padre Alex Zanotelli

È appena iniziata la campagna di firme che già ci sono state numerosissime adesioni. Stiamo capendo che se perdiamo sull’acqua, perderemo sulla sanità, sulla scuola, sui diritti dei cittadini.

L’anno scorso la società civile napoletana riuscì ad evitare la privatizzazione dell’ ATO 1, l’ambito territoriale di Napoli e Caserta. È da questa vittoria, insieme alle realtà di tutta Italia, che dobbiamo partire, ricordando che chi privatizza le risorse idriche è un ladro.

L’acqua è uno degli elementi fondamentali per l’uomo che al 70% è composto di tale elemento. L’acqua è fonte della vita: non c’è vita senza acqua. È l’elemento primordiale per eccellenza. È uno dei simboli religiosi più usato da tutte le religioni. Insieme con l’aria è uno dei beni indispensabili per la vita umana. Ecco perché è semplicemente scioccante per tutti sentir parlare di “privatizzare l’acqua”: “Ci manca che privatizziamo l’aria”, mi diceva una donna napoletana in metrò.. Sono vere e proprie bestemmie! Dobbiamo dire no a questa tendenza di morte: vuol dire la morte per milioni di poveri e il salasso dei nostri poveri.

La ragione fondamentale sono gli enormi interessi: l’acqua è ormai l’oro blu del futuro che sostituirà l’oro nero.

Tant’è che “la banca Fideuram lo sa: vale più un litro di acqua che uno di petrolio…..”! Infatti senza petrolio possiamo vivere, senza acqua no. Le grandi multinazionali dell’acqua stanno mettendo le mani sul bene più prezioso dell’umanità. Loro sanno che è già scarsa oggi e che andrà scarseggiando. Di tutta l’acqua, solo il 3% è potabile. Di questo 3%, il 2,70% è usato nell’agricoltura industriale.

Ci rimane solo lo 0,30% dell’acqua su cui c’è già una pressione enorme (ricordiamoci che il 20% ricco consuma l’87% dell’acqua potabile e che 1.400 miliardi dei poveri non hanno accesso all’acqua). Una pressione che andrà aumentando nel prossimo futuro (è di questi giorni una prova tangibile di ciò). Infatti la temperatura mondiale, per l’effetto serra, crescerà al minimo di due centigradi. Gli scienziati ci dicono che basta 1.5 centigradi in più per sciogliere nevai e ghiacciai. Ci salteranno così le fonti idriche. L’acqua sarà sempre più scarsa. Ecco perché le multinazionali stanno mettendo le mani su quest’acqua e ce la rivendono come acqua.

Dobbiamo avere il coraggio di dire no a questa logica. È chiaro che se noi l’accettiamo, vuol dire un altro peso insopportabile sulle classi deboli (100% aumento della bolletta e tagli dell’acqua se non si paga!) e sui poveri del mondo (avremo centinaia di milioni che moriranno di sete nel sud del mondo!)

La grande domanda è: l’acqua è fonte di vita o fonte di guadagno? Sarebbe così bello che L’Italia potesse dare una “lezione di civiltà” e di etica.

Sono sicuro che ce la faremo: che vinca la vita!