venerdì 26 novembre 2010

Prove di accensione

di Ivan Vaghi

Avrete sicuramente sentito parlare dei flash-mob, quegli spettacoli improvvisati in strada da
sconosciuti che si ritrovano in un dato momento in un determinato luogo e che, senza essersi mai visti prima né aver provato alcunché, risultano perfettamente coordinati. Come è possibile? Grazie alla Rete ovviamente.
Avrete anche avuto notizia delle occupazioni degli studenti di alcuni monumenti simbolo nel nostro paese, in città diverse ma nello stesso momento. Si sono telefonati per mettersi d’accordo? Macché,è stato un flash-mob coordinato via Rete su tutto il territorio nazionale. Paura eh? In fondo si tratta di prove (riuscite) di accensione di una protesta che potrebbe essere polverizzata su mille siti non immaginabili a priori, e quindi una protesta, anche nei suoi eventuali sviluppi violenti, che non sarebbe arginabile. C’è già quindi la possibilità tecnica di una fase nuova dello scontro sociale, che tutti noi ci auguriamo non si traduca mai in realtà. In fondo è per questo che vogliono mettere mille controlli alla Rete, perché ne hanno paura. Intendiamoci, hanno paura soprattutto della circolazione delle idee ma anche che le idee si traducano in fatti, senza che i nostri paludati governanti possano farci niente. E allora si vieta, si penalizza, si minaccia, si oscura. Se la stanno facendo sotto di brutto. Però piuttosto che stare ad ascoltare si trincerano dietro le minacce appunto. “C’è il rischio che ci scappi il morto” ha detto Schifani (alcuni lo avevano detto anche per le proteste di Terzigno), che vuol dire “o la smettete o vi spariamo addosso”. Per fare un esempio e per rimanere in tema, il ministro Gelmini dice che le proteste degli studenti e dei docenti (fatto nuovo questo, nemmeno nel ’68 era successo) servono a difendere i “baroni” e il clientelismo nelle università. Mi chiedo allora perché i baroni siano i più strenui e indefessi difensori della riforma, mentre le proteste arrivano da quelli che vogliono aprire davvero una fase nuova nel mondo universitario. Mi rendo conto che per la Gelmini è troppo difficile fare due più due, in fondo diceva anche che sarebbe stata una manovra senza oneri per lo stato, ma per chi la manovra invece no, loro sono capaci benissimo di capire. Basterebbe stare ad ascoltare e invece minacciano, e lo fanno per difendere degli interessi specifici, questo è ovvio. Università privatizzate, standard abbattuti, ricerca di base azzerata, gli atenei che diventano una fonte di business e non di innovazione. E poi si lamentano se gli studenti e i docenti protestano.
La Rete funziona, le prove di accensione hanno superato il collaudo.

lunedì 22 novembre 2010

La nostra visione, punto per punto


Il Partito Democratico di Solbiate Olona partecipa alla campagna porta a porta, attivata su tutta Italia, con un gazebo, domenica mattina, presso la pesa pubblica.

La nostra visione, punto per punto.


martedì 16 novembre 2010

Come fisioterapista sarà di certo bravo

Ieri sera, al Centro Socio-Culturale, si è parlato del federalismo fiscale (che verrà), un incontro organizzato da Iniziativa21058.

Sono interventui il senatore Fabio Rizzi (Lega Nord) e i consiglieri regionali Alessandro Alfieri (Pd) e Giorgio Puricelli (PdL). Sono il più obiettivo possibile dicendovi che Alfieri e Rizzi sapevano di cosa si stava parlando. Hanno giocato lealmente, individuando – entrambi – potenzialità, limiti e aspetti poco chiari della riforma federale. In particolare, se da una parte si sottolineava la necessità di responsabilizzare gli amministratori locali, dall’altra si poneva l’attenzione sugli standard minimi da garantire, ad esempio, delle prestazioni sanitarie. Entrambi d’accordo sulla necessità di liberare le risorse che i comuni hanno in cassa ma non possono utilizzare. In sintonia con i sindaci presenti, insomma.

Puricelli, invece, ci ha spiegato che il debito pubblico italiano tocca vette astronomiche, ma che, grazie al presidente Berlusconi, l’Unione Europea non ci punirà, perché egli è riuscito a far pesare il debito pubblico sul risparmio degli italiani. Ci ha poi parlato dei 23 milioni di cinesi che ogni anno incrementano la forza lavoro delle città cinesi, e del sorprendente (?) dissesto finanziario della sanità laziale, campana e siciliana, con uno stucchevole grafico che colorava di rosso e di azzurro le regioni: tutte e tre le regioni viziose sono in mano alla sinistra. Bah. Brunetta ha sconfitto i fannulloni della pubblica amministrazione e Fini è un traditore. Si è detto d’accordo sul taglio degli stipendi di parlamentari e consiglieri regionali (lui compreso, wow!), delle autoblu, dei privilegi. Un’accozzaglia di demagogia terribile, che non ci si aspetterebbe da chi è stato eletto in Consiglio regionale.

Sì, ciao. Puricelli era il fisioterapista del Milan, eletto nel listino del Presidentissimo Formigoni.

lunedì 8 novembre 2010

Il vento profondo di Firenze

Nel weekend sono stato a Firenze, con i "rottamatori" che non hanno rottamato proprio nessun dirigente del Partito Democratico. Anzi, hanno ascoltato, hanno condiviso. Vorrei poter dire "hanno costruito".


Per VareseNews ho scritto:

Da Firenze, da Prossima fermata: Italia, la prima e unica standing ovation non è scattata né all'urlo – che non c'è mai stato - di “rottamiamoli tutti”, e nemmeno di “tutti a casa”, no, i cosiddetti “rottamatori” si sono alzati in piedi per applaudire l'assemblea dei Circoli, in contemporanea a Roma.
Sì, perché al di là degli slogan di questi giorni, Firenze è il “mercato delle idee”, dove chiunque, dal senatore al militante della provincia di Varese, può salire sul palco e mettere a disposizione di tutti la sua proposta, attraverso uno schema semplice. Una parola, uno slogan, una proposta e un'azione. Tassativamente, in cinque minuti. Allo scadere dei 300 secondi il “gong” risuona, impietoso e gentile, per tutti.
“Il mercato delle idee” è anche un luogo fisico, nel vagone (nella sala) adiacente a quello della “rottamazione”. Lì sono a disposizione le buone pratiche, i metodi e gli strumenti di lavoro e di comunicazione. Idee tanto rivoluzionarie che, per la maggior parte, sono già attuate dagli amministratori locali del Partito Democratico, in tutta Italia. Sono state raccolte, rielaborate, messe in rete e, infine, rese disponibili. Parlano di fisco e lavoro, di scuola, ricerca e precariato, di immigrazione e arricchimento culturale, mixitè. Non parlano di centrali nucleari ma di consumo del territorio e risparmio energetico. Non parlano di “emergenza sicurezza”, ma di demografia, periferie e alloggi. Non parlano di commissari straordinari ma di open government e accessibilità agli atti pubblici. E che all'emergenza rifiuti di Napoli rispondono con un amministratore “democratico” che, in un comune campano, in quattro mesi, ha attivato la raccolta differenziata e l'ha portata al 60%.
Più che “rottamato”, i 3.300 (aggiornamento: domenica sono diventati 6.800) di Firenze hanno costruito: tutto questo si può toccare con mano, è concreto, è attuabile, non da domani, ma da oggi. Tutto questo viene messo a completa disposizionedel Partito Democratico e dell'Italia. Nessun muro contro muro nel Pd: “siamo gli unici che minacciano di non andare via”, affermano Renzi e Civati, registi, conduttori e deejay di Prossima fermata: Italia.

Venerdì sono intervenuto. La mia parola chiave era "condivisione". Ho raccontato la mia esperienza con il movimento Andiamo Oltre, che ha portato alla produzione di quattro "vagoni", che sono anche disponibili nella prima versione - provvisoria, non completa - e liberamente scaricabili.


In treno, durante il ritorno, ho letto Salviamo l’Italia, di Paul Ginsborg. Lì dentro c’è tutta la Leopolda. Il “vento profondo”, “l’energia romantica” – citati da Pippo Civati – che “accarezza e sospinge gli individui, come fece il romanticismo nella prima metà dell’Ottocento”.

Il romanticismo non è solo un movimento introspettivo ed emotivo, che procede dall’esperienza interna a quella esterna, ma si muove anche in senso inverso. In altre parole, l’interiorità fortemente arricchita, appassionata e inquieta, è alla costante ricerca di espressioni esterne degne di essa.

La Leopolda è stata bellissima. Anzi, romanticissima.

L'intervento conclusivo, affidato a Civati, è questo:



domenica 7 novembre 2010

Cavour, Mazzini e Garibaldi

di Ivan Vaghi

L’incontro organizzato ieri pomeriggio a Solbiate, evento clou delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, si è concentrato sui tre personaggi simbolo del Risorgimento. E’ stato messo in evidenza come il carattere, l’inclinazione e se vogliamo anche le speranze dei tre, spesso dissimili, non abbiano impedito loro di raggiungere un obiettivo comune, che era l’unificazione dell’Italia. In modo certo rocambolesco, attraverso nostre sconfitte oppure vittorie dei nostri alleati più che dell’esercito piemontese, dopo avventure velleitarie e immaginifiche come la spedizione dei Mille e aspettando magari le disavventure dei francesi a Sedan. In ogni caso e contro pronostico il risultato è stato portato a casa. Forse semplicemente era nel nostro destino.

Mazzini il filosofo politico, un po’ utopista o semplicemente troppo avanti per i tempi, ma ispiratore di una generazione, o meglio, la generazione, quella che ha unificato la nostra nazione. Una generazione di figli che hanno combattuto e di madri che li hanno mandati a combattere. La generazione, e dobbiamo dirlo, che ha sfidato gli anatemi della Chiesa che tuonava contro le “pretese” di un gruppo di staterelli che ambiva a diventare popolo. E non si può dimenticare che il più accanito oppositore dell’Unità, papa Pio IX, è stato da poco proclamato beato, a dimostrazione forse che la ferita, quella di Porta Pia, non è ancora del tutto sanata.

Cavour lo statista geniale e pragmatico, che ha saputo isolare la questione italiana e far sì che le grandi potenze la considerassero una questione locale che avrebbe avuto il merito di indebolire l’Austria. Francesi e inglesi quindi hanno lasciato fare e Cavour ha fatto, prima, durante e dopo le guerre di indipendenza, anche se il dopo è stato purtroppo troppo breve visto che è morto nel 1861. La discussione aperta è se una vita più lunga di Cavour avrebbe permesso di costruire basi più solide per uno stato appena nato e che era stato separato per secoli.

Garibaldi l’eroe popolare, anarchico guascone e straordinario comandante, il nostro miglior generale senza aver mai fatto parte dell’esercito. Eccessivo, libertino e coraggioso, accettò il sacrificio della sua Nizza in cambio del bene supremo del nuovo Stato.

I tre non si amavano, si tirarono anche qualche colpo basso, gareggiavano in ambizione, ma sapevano di avere in qualche modo bisogno l’uno dell’altro perché riassumevano le qualità che servivano per un’opera così straordinaria e difficile: pensiero e azione, ma anche diplomazia e determinazione, coraggio e prudenza. Ogni cosa a suo tempo. Il coraggio di avere dei sogni e il coraggio di volerli realizzare.

Che cosa è rimasto a 150 anni di distanza? Purtroppo sembra abbastanza poco. Le derive isolazioniste della Lega, e il peso politico che purtroppo riesce ad avere, stanno mettendo in soffitta il principio stesso degli sforzi unificatrici di quella generazione di italiani. I nostri ragazzi hanno idee troppo vaghe, o addirittura nessuna idea e nessuna notizia su quell’epoca e quei personaggi, è come un vecchio libro chiuso nella libreria della memoria di qualcuno. Vecchi ritratti e vecchie frasi retoriche. Invece è stata un’epoca gloriosa ed eroica, magari anche fortunata, se non altro per aver incocciato in simili personaggi, ma non per questo di meno valore. In questo contesto si inserisce la riflessione forse più interessante di tutta la serata: di chi la responsabilità e quali sono le contromisure? Bisogna ancora una volta tornare ai principi del Risorgimento e tirare fuori il concetto di responsabilità: abbiamo la responsabilità di conoscere, coltivare e approfondire la nostra storia, perché è la concatenazione degli eventi che ci ha fatto diventare quelli che siamo. Nessuno ha mai detto che sia facile o poco faticoso, ma non per questo dobbiamo essere esentati da questo compito. Anche l’eccessiva ricerca della semplificazione per far sì che la storia non sia solo materia da cenacolo può essere un’arma a doppio taglio. L’obiettivo della divulgazione non deve essere quello di “abbassare” il livello della discussione per renderlo accessibile a tutti, ma piuttosto di lavorare perché più persone possibili siano in grado di accedere alla cultura in generale. I livelli bisogna alzarli, non abbassarli, le opere divulgative sono fondamentali, ma devono essere la porta di ingresso e non il porto di arrivo.

In quest’ottica è sicuramente meritoria l’iniziativa della nostra amministrazione, purché abbia un seguito. L’idea è quella di riproporla annualmente per dar vita a quello che viene definito Centro studi di Storia Patria (forse sarebbe più corretto definirle Giornate di studio, visto che non sarà una struttura residenziale), con la presenza di giornalisti, studiosi e storici di livello nazionale. Unica critica che mi sento di muovere è il fatto che sia stato di fatto disconosciuto il principio motore di questo incontro, cioè portare discussioni di grande livello e approfondimento in mezzo alla gente perché tutti ne possano usufruire: sarebbe stato più coerente dare la possibilità al pubblico di fare domande e, perché no, partecipare alla discussione. Suggerimento per la prossima edizione, quale sia l’argomento: una serata “preparatoria” aperta alla cittadinanza in cui viene presentato l’argomento, stimolata una discussione e preparata una lista di domande da presentare agli esperti perché ne diano un’opinione e sulla quale stimolare ulteriori discussioni. Se dobbiamo prenderci la responsabilità di “essere protagonisti della nostra storia”, che era il sottotitolo della manifestazione, dobbiamo avere la possibilità di farlo.

giovedì 4 novembre 2010

Finalmente

Finalmente possiamo lodare la nostra amministrazione. Già, perché la decisione di celebrare l’Unità d’Italia, e con un programma così ricco, è evidentemente una scelta in controtendenza in un ambito territoriale come il nostro (in genere il Nord Italia) preda sempre più spesso dei deliri della Lega. Il programma completo lo potrete trovare qui, e non ci sembra necessario commentarlo ulteriormente.

Quello su cui vogliamo soffermarci è invece la volontà di aprire un Centro Studi di Storia Patria proprio qui a Solbiate. E allora le lodi diventano sperticate. Siamo piacevolmente stupiti che in un periodo di gravi difficoltà finanziarie come questo, che la stessa amministrazione non manca mai di ricordare, abbiano deciso di imbarcarsi in un’avventura economicamente così rilevante come l’apertura di un centro studi che, come dicono loro, potrebbe diventare tanto famoso quanto il Festival di Spoleto. Nella nostra Solbiate quindi avremo un edificio interamente dedicato alla cultura, forse, che so, l’ex oratorio femminile, che andrà restaurato, arredato e messo a norma, in cui sarà possibile consultare una biblioteca dedicata, magari con libri antichi e rari. Ci sarà poi un’ala dedicata alla consultazione delle riviste del settore, un’aula magna per le conferenze, molti computer collegati con la rete a banda larga per poter entrare in contatto con gli studiosi di tutta Italia e anche all’estero, magari in videoconferenza. Avremo personalità importanti della cultura che verranno a fare conferenze a Solbiate, ovviamente pagati profumatamente, e organizzeremo congressi, presentazioni di libri, spettacoli dedicati, dibattiti, corsi di aggiornamento. Che fortuna che la nostra amministrazione ha deciso di tirare fuori quei tre-quattro milioni di euro necessari, e solo in nome della cultura!

Siamo ansiosi di visionare il business plan, che il nostro assessore al bilancio ha sicuramente predisposto, in cui verranno spiegati i tempi dello start up, la strategia utilizzata, le modalità per la raccolta di fondi e il piano di ammortamento, l’organigramma del Centro Studi e il portafoglio di personalità e studiosi che decideranno di venire periodicamente a Solbiate per portare avanti il Centro stesso. Oppure verrà tutto fatto a spese di privati, che saranno sicuramente in fila per fornire il denaro necessario. In questo caso saremo felici di visionare l’elenco di queste aziende o di questi privati cittadini che stanno scalpitando per far diventare Solbiate uno dei centri della cultura in provincia di Varese. Vorremmo andare personalmente a stringere loro la mano e piangere di commozione sulla loro spalla.

C’è però ancora una cosa che non mi torna: visto che c’è tutta questa esigenza da parte della nostra amministrazione di promuovere lo studio della storia, perché nega ai suoi concittadini, impegnati nella ricostruzione di un periodo storico di Solbiate, la visione di documenti contenuti nel nostro archivio comunale? Mah, chi può dirlo, in ogni caso partecipate numerosi alle iniziative di questo fine settimana, queste almeno sono sicure.

martedì 2 novembre 2010

Ruby-gate

di Ivan Vaghi

Negli Stati Uniti lo chiamerebbero così, e probabilmente la questione avrebbe già portato alla richiesta di impeachment per il Presidente da parte dell’opposizione. Inutile ricordare la vicenda per intero, è già nota, sappiamo che il Presidente del Consiglio dei Ministri (le maiuscole servono ad enfatizzare il ruolo istituzionale e quindi il rispetto che tutti, a cominciare dal presidente stesso, devono riconoscergli) ha fatto scarcerare una minorenne accusata di furto mentendo sulle sue generalità (e probabilmente innervosendo un paese estero e amico) e impedendo alle autorità di destinarla ad una comunità di accoglienza. Perché? Perché Ruby aveva partecipato alle feste (festini?) del premier e il premier, si sa, sa essere riconoscente (cuore d’oro….).

Non mi interessano le conseguenze politiche. Possiamo facilmente vedere che Berlusconi è sempre più isolato: ha contro l’opposizione, e questo era facile, ma anche una parte sempre più consistente del suo stesso partito e addirittura Confindustria, e questo invece era difficilmente preventivabile. Anche la Chiesa, e non solo Famiglia Cristiana, si sta innervosendo e quindi la premiata ditta Berlusconi-Bossi in questo momento è chiaramente sulla difensiva. Solo gli italiani continuano follemente ad amare Berlusconi (come d’altra parte amavano follemente Mussolini) e forse il motivo è quello mirabilmente raccontato da Giorgio Gaber: “non ho paura di Berlusconi in sé, ma di Berlusconi in me”. Se la democrazia ha dei limiti ne stiamo vivendo uno davvero clamoroso.

Io invece sto riflettendo sulla ragazza. Certo, la sua vita è una sua scelta, che sia stata sempre consenziente, termine non scelto a caso, lo possiamo dare per scontato. Ma era minorenne, e lo Stato aveva il dovere di tutelarla. Lo Stato però non lo ha fatto, l’ha consegnata nelle mani di un altro “prodotto” del premier, quella Nicole Minetti che dire chiacchierata è dire poco, che a sua volta l’ha consegnata nelle mani di una “amica” brasiliana. Ruby si è fatta due giorni in ospedale qualche tempo dopo, perché picchiata proprio in quella casa. E’ così che lo Stato tutela i minori? E’ così che Berlusconi tutela lo Stato?

Ma io non ce l’ho tanto con Berlusconi, ormai lo conosciamo, ce l’ho soprattutto con i poliziotti e i magistrati che si sono calati le braghe davanti a lui. Voglio saper perché un normale cittadino, se dà la disponibilità per un’adozione o un affido, deve passare anni di trafile umilianti, indagato come un criminale e spesso senza risultato, quando invece basta una telefonata per affidare una minore ad una venticinquenne che non ha nessuna intenzione di occuparsene. Spero che qualcuno al Tribunale dei Minori si stia un po’ vergognando, ma conoscendoli tenderei ad escluderlo.

lunedì 1 novembre 2010

Mauro Venegoni


Ieri, 31 ottobre, è stato l'anniversario della morte di Mauro Venegoni, del quale riportiamo una breve biografia.

Mauro Venegoni (Legnano, 4 ottobre 1903 – Busto Arsizio, 31 ottobre 1944) è stato un politico e partigiano italiano, comunista rivoluzionario.

A 12 anni, dopo gli studi elementari, iniziò a lavorare in fabbrica. Nel 1917, ad appena 15 anni, fu accolto con il fratello Carlo nella gioventù socialista e nel 1921 nel PCI. In prima fila nella battaglia contro il fascismo e più volte preso di mira dai fascisti. Nel 1924, a Milano, operaio alla Caproni, incominciò ad avere confidenza con Antonio Gramsci e a collaborare per l'Unità. Fu anche membro del Comitato sindacale nazionale comunista.

In questi anni fu più volte aggredito dagli squadristi, catturato e incarcerato. Alla fine del 1926 i Carabinieri di Legnano lo indicano per il confino. Nel 1927 fu imprigionato per 15 mesi. Il suo nome fu proposto all'esame del Tribunale Speciale, ma fu prosciolto per mancanza di prove.

Nel 1929 si trasferì in Francia, dove fu assunto come operaio alla Citroën. Nel 1930 fu inviato alla scuola leninista di Mosca, dove entrò in collisione con la politica stalinista. Ritornato in Francia rientrò poi in Italia. Nel 1932 fu catturato in Sicilia per attività sovversive. Condannato a 5 anni e mezzo di prigione dal Tribunale Speciale fascista, fu rinchiuso per 5 anni nel carcere di Civitavecchia. L'11 giugno 1940 fu nuovamente arrestato e rinchiuso nel campo fascista di Istonio (Vasto fino al 1941). Qui organizzò un gruppo clandestino di resistenza. Scoperto, fu trasferito nel campo allestito nelle Tremiti, dove per le sue idee anti-staliniste fu espulso dal partito. La detenzione alle Tremiti terminò solo nell'agosto 1943.

Ritornato nella città natale, Legnano, si diede alla organizzazione dei lavoratori nelle fabbriche dell'Alto Milanese. Dopo l'armistizio dell’8 settembre 1943 pianificò e guidò le SAP prima nel legnanese e successivamente nel vimercatese. A Legnano fu uno dei promotori della Brigata Garibaldi (una delle squadre partigiane costituite da soldati, operai e studenti dopo l’armistizio dell’8 settembre), e fu protagonista di numerose azioni armate, oltre a collaborare con il fratello Carlo alla redazione del giornale "Il Lavoratore".

Fatto prigioniero dalle squadre fasciste a Busto Arsizio, nell’interrogatorio gli fu imposto di svelare i nomi dei partigiani del suo raggruppamento, e al suo sprezzante rifiuto fu seviziato, mutilato, accecato e assassinato il 31 ottobre 1944.

La sua salma fu abbandonata in un campo nei dintorni di Cassano Magnago (nel luogo del ritrovamento è stato eretto un cippo commemorativo) e quindi seppellito con il falso nome di Raimondi (le generalità riportate sui documenti falsi in suo possesso al momento dell'arresto). La salma di Mauro Venegoni sarà esumata nell'ottobre 1945 e trasferita tra due ali di folla al Cimitero monumentale di Legnano per essere seppellito nel campo dei caduti partigiani.

Nel dopoguerra gli è stata attribuita la Medaglia d'oro al valore militare alla Memoria e gli sono state dedicate diverse vie a Legnano e nei Comuni della zona.

«Ardente patriota era tra i primi a costituire le formazioni partigiane nella sua zona partecipando con esse per oltre un anno a numerosi combattimenti sempre distinguendosi per capacità e coraggio. Catturato, veniva sottoposto alle più atroci torture ma nulla rivelava che potesse tradire i commilitoni e la Resistenza. La sua indomabile fede non veniva scossa nemmeno allorché il nemico ne straziava barbaramente il volto ed il corpo, accecandolo prima e poi uccidendolo. Luminoso esempio di sublime sacrificio e di ardente amor di Patria. Valle Olona - Busto Arsizio, 8 settembre 1943 - 31 ottobre 1944.»