Prima parte:
E seconda parte:
domenica 25 gennaio 2015
lunedì 19 gennaio 2015
Pari opportunità: come è andata?
Molto bene, per quanto riguarda il livello della discussione e la partecipazione. Meno bene per quanto riguarda le conclusioni che possiamo trarre rispetto alla (dis)parità di genere.
A seguire l'articolo odierno della Prealpina (rispetto al quale precisiamo che il sindaco Melis è passato a salutare gli ospiti in apertura, ma - probabilmente impegnato altrove - non ha assistito al dibattito).
A seguire l'articolo odierno della Prealpina (rispetto al quale precisiamo che il sindaco Melis è passato a salutare gli ospiti in apertura, ma - probabilmente impegnato altrove - non ha assistito al dibattito).
giovedì 15 gennaio 2015
Quanto siamo lontani?
Partiamo da un presupposto: le capacità, il talento, le potenzialità complessive delle persone sono ugualmente distribuite tra i due sessi, quindi le donne ne possiedono il 50%. Se le donne, per un qualche motivo, hanno più difficoltà degli uomini ad avere accesso alla vita sociale, economica e politica, vuol dire che una parte di questo 50% non potrà essere utilizzata. Vuol dire anche che rimuovere questi ostacoli
non è solo una questione di equità o di buon senso, ma è anche un modo per
sfruttare meglio le potenzialità complessive della nostra società.
Uno studio generale sulla parità di genere viene
periodicamente compilato dal Forum del
commercio mondiale (si tratta del Gender
Gap Report). Lo studio rivela che nei paesi presi in considerazione, che
insieme comprendono il 90% della popolazione mondiale, nessuno è ancora
riuscito a garantire pari opportunità ai due generi. Globalmente la differenza
è minima per quanto riguarda l’accesso alla salute e all’istruzione, è alta per
l’economia, drammatica per la politica. Uno sguardo complessivo ci dice quindi
che esistono leggi che garantiscono parità di diritti per le questioni
fondamentali (ma sono leggi scritte da uomini), ma non ce ne sono ancora di
abbastanza efficaci da superare i principali ostacoli che impediscono alle
donne di avere pieno accesso alla vita economica dei vari paesi.
Probabilmente non si tratta solo di una questione legislativa
ma anche culturale, quindi a questo punto è opportuno chiederci se il quadro
desolante che viene attribuito all’Italia da questo rapporto (71° posto al
mondo, nei bassifondi della classifica in Europa) sia riconoscibile anche nella
provincia di Varese, se quindi il quadro legislativo è adeguato o migliorabile
e se il contesto culturale rappresenta ancora un freno alla diminuzione delle
differenze di genere nel nostro territorio.
Ne parleremo a Solbiate Olona con chi ne sa. Precisamente con
l’associazione Se Non Ora Quando, che
ha tra i suoi scopi sociali proprio quello di monitorare la situazione sulle
pari opportunità in campo sociale, economico, e dei diritti civili, supportata
e integrata dai dati e dalle considerazioni della CGIL di Varese. Il quadro
legislativo lo fornirà l’onorevole Maria Chiara Gadda, che si farà anche
idealmente carico di quanto verrà detto e delle eventuali proposte di soluzione
delle situazioni più urgenti.
All’inizio avremo il saluto della presidentessa del centro
Icore di Gorla Maggiore, che si occupa di assistenza alle donne vittima di
violenza e che opera nella Valle Olona. Come si è detto il problema è anche e
forse soprattutto culturale e non possiamo pensare che la nostra zona nei sia
esclusa. La violenza sulle donne non è altro che la manifestazione più
drammatica di un contesto sociale che non riconosce alle donne pari dignità e
la sua conseguenza quotidiana sono le pratiche e gli atteggiamenti che
impediscono alle donne di avere pari opportunità.
Le relatrici saranno tutte donne. Si tratta di una scelta che
serve anche a onorare la memoria di Laura Prati, donna impegnata in politica
uccisa mentre svolgeva i suoi compiti istituzionali, e a cui è dedicata la sala
in cui si svolgerà l’incontro.
L’appuntamento quindi è per sabato sera (17 gennaio) alle 21
nella sala Laura Prati di Villa Maino, in via S. Antonino a Solbiate Olona.
venerdì 9 gennaio 2015
Un tempo per odiare
di Ivan Vaghi
Siamo tutti vittime dei nostri limiti. Ci piacerebbe non fare mai errori, pensare sempre in modo positivo, elaborare le migliori idee e applicare le riflessioni più corrette. Ma siamo sostanzialmente diversi, perché abbiamo una componente oscura nella nostra anima, chi più chi meno. Ce l’hanno i singoli individui, ce l’hanno i popoli. Questa parte oscura viene tenuta a bada dall’organizzazione statale e dalle convenzioni sociali, dall’educazione e dall’istruzione, dai concetto di collettività e di collaborazione, dalle leggi e dai tribunali, dall’intelligenza e dalla saggezza. Non sempre tutto questo è sufficiente e la componente oscura a volta riaffiora, a volte esplode.
C’è un
tempo per nascere e un tempo per morire. Non abbiamo nessun controllo sul dove e
quando ci capita di nascere e quindi nessun controllo sul condizionamento che
siamo costretti a subire durante la nostra vita. Il libero arbitrio può essere
un’arma troppo debole per troppe persone e per molte altre la morte può essere
solo la consolazione di una vita ingiusta e viene ricercata con impegno. Per
molti altri sarà solo la cinicamente logica conclusione di un’esistenza non
meritata, iniziata in luoghi dimenticati dalla misericordia di Dio, continuata
tra povertà, disperazione e violenza e conclusa nella stiva di una bagnarola
affondata nel Mediterraneo, tra i commenti di scherno di chi è stato più
fortunato alla nascita e non si accorge di quanto la componente oscura stia
prevalendo su di loro.
Un tempo
per uccidere e un tempo per guarire, un
tempo per demolire e un tempo per costruire. Uccidere non è mai qualcosa
che riguarda solo chi muore ma anche e soprattutto chi rimane in vita. Riguarda
chi uccide, riguarda chi assiste e chi ne sente parlare, anche se si trova
molto lontano dalla sede di un giornale parigino. Uccidere risveglia la componente
oscura di tutti, e chi uccide spesso lo sa. Risveglia la rabbia, la paura, il
sentimento di vendetta, l’istinto di sopravvivenza. La voglia di proteggere il
nostro mondo che viene confuso con la voglia di demolire quello di chi sentiamo
nostro nemico. E ogni volta è sempre più complicato guarire, sempre più
difficile costruire.
Un tempo
per piangere e un tempo per ridere. Un tempo in cui i fumetti ci fanno ridere e
un tempo in cui dobbiamo piangere chi li ha disegnati.
Un tempo
per serbare e un tempo per buttare via. La componente buona della nostra anima
agisce in tempi lunghi, laboriosi, aggiunge piccoli mattoni ma spesso non ha
abbastanza cemento, basta una spallata o anche solo una spinta e crolla tutto.
La pace si costruisce attraverso i secoli, per la guerra basta premere un
grilletto. Per costruire popoli consapevoli servono i migliori sforzi delle
migliori menti di molte generazioni, per rovinare tutto bastano pochi atti
folli e poche parole assurde di pochi irresponsabili. Siamo vittime dei nostri
limiti, ostaggi della parte oscura delle nostre anime.
Un tempo
per tacere e un tempo per parlare. A patto di scegliere i momenti giusti, c’è
un tempo in cui si parla e invece si dovrebbe stare zitti e un altro in cui si
rimane in silenzio per dolore, paura o indifferenza, e invece bisognerebbe
parlare, anzi urlare.
Un tempo
per amare e un tempo per odiare. Nugoli di folle festanti che inneggiano a
dittatori sanguinari, campi di sterminio a pochi passi da tranquilli paesi di
campagna dove la vita prosegue come nulla fosse, ovazioni ai roghi dei libri,
esecuzioni in piazze esultanti di persone condannate per le loro opinioni.
Riguarda solo il nostro passato? Migliaia di “like” a chi chiede di sterminare
i musulmani da piccoli, pagine e pagine di giornali in cui stimati
intellettuali inneggiano alla guerra di religione, alla guerra di civiltà,
rigurgiti razzisti sempre più intensi e violenti, organizzazioni militari
spietate che uccidono in nome di un dio che si vergogna di loro. Soprattutto
milioni di persone in cui si sta insinuando il dubbio che la tolleranza e il
rispetto siano solo un grande inganno, illusi da decine di furbi che vogliono
fare carriera politica sfruttando le loro paure. L’odio è la conseguenza logica
della paura, il figlio prediletto della rabbia. L’odio è autocatalitico,
alimenta se stesso, diventa sempre più forte. Bisognerebbe ucciderlo da piccolo
ma c’è il rischio che non sia questo il tempo. Forse, purtroppo, questo è il
tempo per odiare.
Tutti
sono diretti verso le medesimo dimora: tutto è venuto dalla polvere e tutto
ritorna nella polvere. L’odio ci impedisce di guardare oltre noi stessi, ci impedisce
di capire che niente dura in eterno, che nessuno è meglio di nessun altro. Ci
lega al momento, all’attimo in cui proviamo più dolore e più rabbia, ci lusinga
con la prospettiva che distruggere i nostri nemici ci farà stare meglio. Ci
impedisce di capire che i nemici esistono solo se vogliamo che esistano, e vale
per tutti, a oriente come a occidente. Ci impedisce di ricordare che siamo
destinati a tornare polvere, e che saremo giudicato per quanto abbiamo saputo
amare e per quanto abbiamo odiato.
Mi sono accorto che
nulla c'è di meglio per l'uomo che godere delle sue opere, perché questa è la
sua sorte. (Ecclesiaste, 3:1-21)
mercoledì 7 gennaio 2015
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