mercoledì 17 settembre 2008

C'era una volta 2

di Ivan Vaghi

Sono stato fin troppo ottimista e portatore di speranze inadeguate. Pensavo che si potesse resistere un po’ di più…
Questo quanto riportano i giornali: “La crisi finanziaria più grave da un secolo, la definisce l'ex banchiere centrale Alan Greenspan. Governi e banche centrali annaspano, non trovano un argine, un punto d'arresto che blocchi la spirale dei crac”. Se vi sembra poco c’è anche: “Un panorama di guerra ieri mattina ha accolto Wall Street al risveglio da uno dei weekend più disastrosi della sua storia. Il paesaggio bancario americano ne è emerso sfigurato, amputato, con dei lugubri vuoti al posto di istituzioni un tempo potenti e venerate. Centomila posti di lavoro sono spariti, nel solo settore bancario, dall'inizio di questa crisi. Merchant banking, investment banking, security houses: tutti i mestieri della finanza moderna coincidevano con quei soggetti spazzati via in 48 ore”.
Volevo rassicurare quelli che pensano che siccome noi non viviamo a Manhattan non corriamo simili rischi: “L'Europa non è al riparo. Anche se il bubbone dei mutui scoppiò in America all'inizio dell'estate 2007, i germi della malafinanza sono ovunque e hanno già seminato danni in Europa: gli hedge fund Bnp Paribas chiusi per insolvenza; la bancarotta di Northern Rock a Londra; le voragini di perdite della svizzera Ubs”. E ci aggiungiamo anche il fallimento della più importante banca d’affari francese.
I più scaltri e informati obietteranno che il ’29 era un’altra cosa, dal momento che quella era un’epoca in cui il liberismo era una religione e gli interventi statali un’offesa ideologica, mentre adesso, grazie alle teorie keynesiane comunemente accettate dai governi, gli interventi dei vari ministeri del Tesoro e delle banche sovranazionali tipo quella europea e mondiale sono in grado di correggere gli squilibri del mercato. Una dimostrazione di questo sta nel fatto che gli Stati Uniti hanno recentemente privatizzato due tra le più importanti finanziarie del paese per evitarne il fallimento, gravando ovviamente sui contribuenti americani ma salvando non si sa quanti posti di lavoro. Ma se sul correggere gli squilibri siamo d’accordo, sul fermarli è tutta un’altra questione, forse ritardarli sì, impedire la catastrofe completa, ma nessuno pensi che ne usciremo indenni. Anche perché gli interventi statali saranno comunque limitati. Sentite questa: “Nonostante la perdita record di 500 punti del Dow Jones, la Borsa americana poteva crollare di più. Ma le percentuali dei ribassi non dicono molto. I numeri delle perdite azionarie sono falsati dalla frenetica attività di intervento delle banche centrali e dei colossi privati del credito. Se il Tesoro Usa ha dovuto cessare i salvataggi pubblici a spese del contribuente, per l'esplosione del debito pubblico a due mesi dall'elezione presidenziale, la Federal Reserve invece sta usando tutte le risorse a disposizione per arrestare il contagio del panico”. Avete capito bene, il Tesoro Usa ha dovuto cessare i salvataggi pubblici, e il motivo è che non ha più liquidità, e la poca che è rimasta servirà ad intervenire in qualche modo nei confronti delle industrie automobilistiche, che stanno registrando perdite catastrofiche e che tra poco entreranno in grave crisi.
Forse avete sentito parlare di globalizzazione, è qualcosa che riguarda soprattutto il mondo economico e ancor di più quello finanziario, e a questo ci aggiungiamo che dal ’45 l’economia italiana è legata a doppio filo a quella statunitense. Quello che succede in America prima o poi succederà anche qui, siamo solo, come per tutte le cose, semplicemente un po’ in ritardo. Certo nessuno ve lo racconta sui giornali o alla televisione, nessuno vi ha detto che i dati di vendite della FIAT sono in picchiata, e nessuno vi ha detto che le nostre banche non sono e non possono essere autonome e che quindi risentiranno della crisi finanziaria, presto o tardi. Non ve lo dicono perché stanno cercando di prendere tempo, e hanno bisogno di tempo per cercare di liberarsi, per quanto possibile, delle loro palle al piede. Lo hanno già fatto con Parmalat, con i bond argentini, con la Cirio, con tutte le azioni, le obbligazioni e i fondi che presto sarebbero stata carta straccia e che hanno scaricato sui poveri cristi che avevano due soldi da investire. Siccome nessuno ha mai loro contestato niente ci riproveranno di sicuro. Solo che qui siamo a tutt’altro livello e non so se il giochino gli riuscirà ancora, sicuramente alcune delle nostre banche entreranno in crisi e rischieranno di fallire, a meno che ci sia il solito intervento governativo, così come è avvenuto in America. Ma come in America il nostro Tesoro avrà già il suo daffare a scaricare sui contribuenti le perdite di Alitalia per non parlare di quelle future della FIAT, e non potrà comunque avere molta liquidità a disposizione, anche perché il debito pubblico è di solito sostenuto dalla banche, ma se sono proprio le banche ad entrare in crisi allora è veramente un casino.
Ve lo concedo, vi ho prospettato l’ipotesi più infausta, che vuol dire una situazione di collasso finanziario che non può non avere ripercussioni sull’economia reale (la recessione porta all’aumento di disoccupazione che porta alla diminuzione dei consumi che porta al fallimento delle industrie che porta ad altra disoccupazione e così via), ma se avessi ragione? Le premesse ci sono tutte e il processo sembra essersi avviato. Può essere che una sera accendiate la televisione e il telegiornale vi dirà cose che non avreste mai voluto sentire, e i nostri giornalisti faranno finta di sorprendersi, così come i nostri politici, che nel frattempo hanno preferito andare a Porta a Porta a dialogare amabilmente con Miss Italia e la campionessa olimpionica di scherma (si tratta di Berlusconi caso mai vi sia sfuggito). Non pensate che sarebbe il caso di avere altro cui pensare, date le circostanze? Vi lascio con la confessione di un broker di Wall Street rimasto senza lavoro, provate a fare un giochino e pensate che stia parlando della situazione politica italiana: "Forse era giusto che finisse così, per ricordare a Wall Street che la furbizia non vince sempre, che non si può pretendere di vendere qualunque cosa solo perché si è capaci di impacchettarla bene. Forse è un atto catartico, forse può servire a ripartire più sani".

lunedì 15 settembre 2008

Prima che sia troppo tardi

di Ivan Vaghi

Nel nostro scombinato paese ci può anche capitare di sentire il ministro della difesa pronunciare parole di accorato ricordo rivolte ai militari della Repubblica di Salò, e il sindaco della nostra capitale difendere l’esperienza storica del fascismo. Considerando da dove vengono questi personaggi non c’è da stupirsi, è già più stupefacente che, a parte qualche esponente del PD e il Presidente della Repubblica, non ci sia stato nessuno che sia insorto con indignazione. Giusto per dare un paio di informazioni: la Repubblica Sociale (o Repubblica di Salò), estremo tentativo di Mussolini di rimanere a capo di un qualche governo dopo l’armistizio firmato dall’Italia, NON rappresentava legalmente la cittadinanza italiana, perché il re Vittorio Emanuele, personaggio peraltro imbarazzante, aveva revocato a Mussolini l’incarico di governo e lo aveva conferito a Badoglio, che aveva deciso di firmare l’armistizio. La revoca dell’incarico era nei pieni diritti del re in ottemperanza alle leggi in vigore, volute e approvate dallo stesso governo fascista. Questo vuol dire che il solo governo legittimo era quello di Badoglio (era stato riconosciuto da tutto il mondo compreso il governo fascista spagnolo di Franco), che la Repubblica Sociale si era resa responsabile di un colpo di stato, con l’aiuto dei carri armati tedeschi, e che non aveva legittimità internazionale (era stato riconosciuto solo da Germania e Giappone, le due nazioni alleate di Mussolini). La Repubblica Sociale operava in una situazione in cui a comandare davvero non era Mussolini, ma Kesserling, capo delle forze armate tedesche in Italia, Wolff, capo della polizia, e Rahn, plenipotenziario politico, che vagliava le direttive della Repubblica facendo passare solo quelle gradite ai tedeschi. Il proclama di fondazione dello Repubblica Sociale prevedeva l’indivisibilità della Patria, peccato che dopo l’8 settembre la Germania si fosse annessa dei territori (Alto Adige e parte del Friuli) senza che Mussolini avesse niente da dire in proposito, così come non ebbe niente da dire sulle deportazioni di civili italiani verso le fabbriche della Germania (mezzo milione di persone, mica bruscolini), per non parlare della trafugazione di materie prime, manufatti, materiale di ogni genere (perfino le traversine dei binari) e tutto quello che poteva servire allo sforzo bellico tedesco, oltre alle già scarse risorse finanziarie del nostro paese. La Repubblica Sociale ha combattuto al fianco di un paese invasore, la Germania appunto, che si stava rendendo responsabile di crimini assurdi e orrendi, come le stragi di civili delle Fosse Ardeatine, di Sant’Anna di Stazzema, di Marzabotto e di tante altre in cui donne, uomini, vecchi e bambini sono stati massacrati nei modi più orrendi (per chi vuole stare male si faccia una semplice ricerca in rete), senza che Mussolini o chi per lui avesse niente da dire in proposito. Uno degli “uffici” della Repubblica Sociale si chiamava Ufficio Razza, e aveva il compito di mettere in pratica le direttive tedesche relative alla deportazione e allo sterminio degli ebrei. Tanto per restare in tema, uno degli impiegati di questo ufficio si chiamava Giorgio Almirante, che poi diventerà segretario dell’MSI e nume tutelare di un certo Pino Rauti (a suo tempo arrestato per la strage di Piazza della Loggia a Brescia e per altre “cosucce” del genere) che avrà a sua volta l’orgoglio di diventare suocero di Alemanno, guarda un po’, il sindaco di Roma. Ripeto, è difficile stupirsi di certi atteggiamenti e certe prese di posizione, ma più difficile ancora è mandare giù il concetto che questa offensiva revisionista avvenga nella quasi totale indifferenza della gente, a partire dai personaggi istituzionali. Perché, a parte il nostro Presidente, nessuno dei personaggi più importanti della Repubblica, il Presidente del Consiglio, i Presidenti della Camera e del Senato, tutti i leader dei partiti di maggioranza e i governatori delle regioni di centro destra, ha detto una sola parola di condanna verso questi veri e propri insulti rivolti a quelli che hanno veramente combattuto, e sono morti spesso uccisi dalle milizie repubblichine, per la libertà e la democrazia nel nostro paese. La Resistenza è stato il motivo per cui ex-neofascisti hanno la possibilità di avere responsabilità di governo, ma a loro evidentemente questo non basta, vogliono stravincere e lavorano per cancellare il ricordo di quella loro sconfitta che evidentemente ritengono una usurpazione del destino e non un atto di giustizia storica. Purtroppo non c’è, come ripeto, reazione, e ce ne sarà sempre meno, perché chi conserva la vera memoria di quel periodo è sempre più vecchio e stanco. Devo per forza riportare l’esperienza vissuta poco tempo fa, in occasione delle cerimonie del 25 aprile a Solbiate (colgo comunque l’occasione per ringraziare l’amministrazione che si sforza di mantenere il ricordo della Liberazione, anche se non ho visto moltissimi consiglieri o esponenti della Giunta). E’ stato invitato un ex partigiano ed ex deportato, che doveva raccontare la sua esperienza e la sua storia a una platea di cittadini convenuti nel centro socio culturale. Purtroppo si è avuta la malaugurata idea di far coincidere questo incontro con una specie di concerto dei ragazzi delle scuole medie, che non erano stati preparati all’incontro e a cui non fregava niente di quello che diceva quel vecchio noioso con il fazzoletto rosso delle Brigate Garibaldi al collo. Hanno fatto talmente tanto casino che si è dovuto interrompere il racconto. Non temete, non si è indignato nessuno, anzi, erano tutti sollevati che il vecchio partigiano avesse finito anzitempo, perché era molto più importante sentire dei ragazzini che massacravano onorati brani musicali in un contesto completamente sbagliato. Siamo a questo ormai, alla noia del ricordo che prepara la strada alla manipolazione della verità. Spero solo che non sia troppo tardi.

lunedì 8 settembre 2008

Veltroni dal palco: facciamo come a Varese


Il leader del Pd elogia l’iniziativa dei politici locali a disposizione dei cittadini nel mese di agosto

Firenze - Un son­daggio dà il Pd in calo, Parisi lo piccona e nel partito le critiche sembrano superare gli applausi. Ma Walter Vel­troni non alza bandiera bianca e, rincuorato dal pienone alla Festa dei Democratici a Firenze, sferza chi lo attacca e tende la mano a chi, co­me Massimo D'Alema e Franco Marini, gli offre aiuto: «Ho il dovere di coinvolgere tutti, ma vorrei ci fosse uno spirito di squadra», è l'appello del leader democratico che, in caso di fallimento. ve­de il rischio di «una diaspora inconciliabile» nel centrosinistra. Non so­no giorni facili per il se­gretario del Pd e forse la commozione che lo pren­de sul palco quando par­la degli «immigrati in fu­ga dalla fame». tradisce anche la tensione. E, durante l'intervista con Mentana, cita anche il modello Varese: un esempio da seguire l'ini­ziativa di vicinanza ai cit­tadini nel mese di ago­sto. Firenze lo accoglie con calore, come speri­menta Veltroni già in mattinata, arrivando al­la Festa prima di andare al ricevimento per il ma­trimonio di Jovanotti. «La base del partito è più avanti dei suoi diri­genti», si rincuora il lea­der che non riesce a ca­pacitarsi del fatto che, come sempre è accadu­to nella storia del centro sinistra, dopo la sconfit­ta parte «uno psicodramma senza fine» e che invece di «ripartire da uno straordinario 34%» si avvia «una di­scussione senza fine» con durissimi attacchi al vertice. «Ci sono dirigen­ti - sostiene Veltroni chiamando in causa Ar­turo Parisi - che tirano bordate per finire sui giornali e non capiscono che danneggiano il parti­to. Dire che Berlusconi è meglio di me è un'offesa al popolo del 34%, chi di­rige ha responsabilità più alte, non solo privile­gi». Quasi un benservito all'ex ministro della Dife­sa, ma è un'apertura quella offerta alla dispo­nibilità di big come D'Alema e Marini: «Va benissimo, è mio interesse di segretario e dobbia­mo coinvolgere tutti». Anche se una condizio­ne c'è: «Vorrei che ci fos­se uno spirito di squadra, sia che si vinca, sia che si perda», afferma Veltroni, ricordando l'in­gratitudine di quanti un minuto dopo la sconfitta passarono dal grazie al silenzio. E poi «per co­struire il Pd del futuro e non del passato, per me il principale problema è far avanzare una nuova generazione di dirigenti politici». Anche per questo, incontrando un gruppo di giovani romani che hanno steso sotto al palco uno striscione con su scritto:' «Noi giovani troppo avanti. .. E il partito?», assicura loro che avranno più spazio. I militanti, che. ormai non si chiamano più compagni, applaudono e il segretario dei Democratici guarda avanti: «La confusione è norma­le, ma ora si apre una fa­se nuova», bisogna tor­nare tra la gente e co­struire un'opposizione che faccia «tornare l'in­dignazione politica e mo­rale» verso il governo e riporti alla vittoria. Per­chè, se «Di Pietro caval­ca la tigre» del giustizia­lismo e «ha stracciato il nostro patto elettorale», il Pd resta un'opposizio­ne che «non dà colpi bas­si» a Berlusconi, che de­nuncia ma «tiene un filo di equilibrio» e che, «ol­tre al fronte del no, por­terà il 25 ottobre in piaz­za anche la proposta». E la prima Veltroni la an­nuncia illustrando un pacchetto per le fami­glie, per arginare la «la crisi dei consumi».
La Prealpina – 7 settembre 2008


Marantelli: orgogliosi di questo riconoscimento

(e.spa.) Quando gli esponenti varesini del Pd hanno invitato i cittadini rimasti in città nel mese di agosto a chiamarli e a segnalare bisogni e disagi, forse qualcuno ha sorriso e ha pensato: tanto van­no tutti in vacanza. Invece no. Non solo i telefoni dei politici hanno squillato, ma la loro iniziativa è diventata ufficialmen­te - con le parole di ieri di Veltroni - un modello per il partito a livello nazionale. Decisamente soddisfatto Daniele Marantelli, uno degli ideatori dell'iniziativa. «le parole di Veltroni - dice - sono moti­vo di grande soddisfazione perchè so­no il riconoscimento del valore di una buona idea e di un metodo che vuole privilegiare "attenzione ai cittadini e ai loro bisogni. Abbiamo voluto dare una ri­sposta concreta alla solitudine, resa parti­colarmente evidente nel mese di ago­sto. Il mio telefono è squillato parecchio e, pur senza promesse vane, credo sia stato importante soprattutto ascoltare le esigenze e i bisogni delle persone. Ci sono stati posti quesiti e problemi con­creti a cui siamo chiamati a trovare risposte adeguate. Credo debba essere questa la forza di un partito popolare co­me il nostro. lo credo che le individualità siano sacrosante ma debbano essere utilizzate per fare gioco di squadra, che ultimamente non sempre c'è stato. Se saremo in grado di seguire questo metodo i risultati arriveranno».