giovedì 26 febbraio 2009

Architettura sostenibile? Si può fare! - Parte Prima


di Maria Cristina De Simone

A due settimane dall’assemblea pubblica ancora nessuna risposta da parte dell’amministrazione, sono delusa, poco importa, non voglio fare politica, voglio continuare a parlare di architettura, di urbanistica e di qualità dell’abitare, perché riguarda ognuno di noi.

L’ architettura non è paragonabile alle altre forme d’arte, si può scegliere o di entrare in una galleria d’arte, in un museo o di condividere un’esperienza artistica di qualunque natura, ma non si può sfuggire all’architettura, è intorno a noi, la utilizziamo abitudinari e inconsapevoli a volte, critici o entusiasti in altri momenti. Non importa se il nostro ruolo è quello di tecnici, professionisti o attori sociali, tutti viviamo l’architettura e la realtà urbana. A noi la scelta: essere fruitori stolti e passivi o consapevoli.

Riporto alcuni pensieri di un noto architetto, Vittoriano Viganò.

La tecnologia è voce fondamentale del fare architettura… Personalmente trovo che ogni qualvolta la tecnologia è suscitatrice di potenziali applicativi nuovi, di metodologie nuove, di una nuova configurazione, essa sia di interesse estremo… Ho piena coscienza che facendo architettura, o spazi semplicemente abitabili, noi condizioniamo violentemente l’interlocutore e la sua esistenza. Si può essere dei prevaricatori, così come possiamo essere grandi suscitatori di compiacimento conoscitivo. E’ l’essenza del progetto e di chi, come noi, deve progettare per gli altri. E’ un rapporto di rischio ma anche una possibilità a cui non possiamo sottrarci. L’esperienza del progetto è un’esperienza di crescita, per tutti”.

( Milano, 14 dicembre 1994 - studio Viganò - , E. Faroldi, M. Pilar Vettori, “Dialoghi di Architettura”, Alinea, Firenze 2004 )

Ho scelto queste parole perché sono al di sopra delle mode del momento, perché sono lontane dagli onori della cronaca e perché mi auguro inducano a riflettere: sono state scritte quasi quindici anni fa, ma sono straordinariamente attuali.

Progettare oggi, senza dimenticare una delle voci fondamentali dell’architettura, la tecnologia, significa progettare in maniera sostenibile, come ho già scritto e come è stato ribadito da professionisti affermati durante l’assemblea del 12 febbraio.

L’innovazione tecnologica è lo strumento principale per raggiungere obiettivi strategici quali l’ecoefficienza e la sostenibilità ambientale.

Ma cosa si intende per progettazione sostenibile (o ambientale )?

Semplificando ai minimi termini significa progettare manufatti architettonici che non inquinano, non solo durante tutto il loro ciclo vitale, ma anche durante la progettazione e la dismissione. Il nostro sistema di sviluppo ha prodotto uno stato di degrado ambientale che ha raggiunto la soglia di emergenza e che pone l’uomo di fronte all’obbligo di riesaminare il rapporto tra sfruttamento delle risorse e qualità dell’habitat.

Gli edifici consumano oltre il 40% dell’energia utilizzata in Europa, e sono i maggiori produttori di CO2 (si è gia parlato in questo blog di protocollo di Kyoto, vorrei ricordare anche quello di Montreal). L’efficientismo tecnologico ha reso possibile condizioni di confort in edifici simili, ubicabili in qualsiasi realtà geografica, che richiedono però il ricorso ad una serie di dispositivi impiantistici che prevedono lo sfruttamento di energie non rinnovabili e ad alto consumo.

Ma la storia evolutiva dell’architettura e dell’urbanistica è ricchissima di episodi che sono il frutto di un geniale confronto con l’ambiente, caratterizzati morfologicamente e tipologicamente dagli elementi naturali del luogo, ovvero da clima, orografia, vegetazione, materiali locali, orientamento e sfruttamento solare passivo, e dalle conoscenze da parte delle popolazioni delle elementari nozioni di meteorologia, delle prestazioni fisico-termiche dei materiali e dell’uso ottimale delle forme e del territorio. Questo genere di architettura è riuscita ad ottimizzare un principio fondamentale: massima efficienza con il minimo dispendio di energie.

Tale rapporto viene definito Sostenibile, perché caratterizzato da regole di comportamento non distruttive e finalizzate a uno sfruttamento controllato delle risorse.

Alcune linee guida della progettazione ambientale si possono sintetizzare in :

- Basso consumo energetico

- Basso costo nelle fasi di gestione

- Basso impatto di impiego materico

- Riduzione delle risorse

- Riutilizzo dei materiali e dei componenti

- Riciclaggio dei prodotti

Un particolare standard costruttivo finalizzato alla riduzione dei consumi energetici dell’edificio e alla sostenibilità ambientale è l’edificio Passivo.

Gli edifici Passivi centro europei sono progettati per massimizzare gli apporti energetici solari e le sorgenti di calore interne con l’eventuale supporto di una pompa di calore, ma evitando l’impianto di riscaldamento convenzionale. Hanno un involucro esterno fortemente coibentato e privo di ponti termici, un microclima interno gestito quasi interamente da un impianto di ventilazione meccanica controllata e un fabbisogno energetico per il riscaldamento non superiore ai 15 kWh/(m2a).

Un edificio Passivo comporta generalmente un maggiore investimento economico iniziale, rispetto ad un identico edificio convenzionale, dovuto principalmente ad un maggiore costo dell’involucro opaco (spessore degli isolanti), e alla migliore qualità dei serramenti, destinato però a ripagarsi in breve tempo. Infatti l’eliminazione dell’impianto di riscaldamento convenzionale compensa in parte i maggiori oneri iniziali, ma sono soprattutto i ridotti costi di esercizio che permettono un ammortamento dei costi aggiuntivi in meno di dieci anni, rendendo l’edificio Passivo una proposta vantaggiosa sia dal punto di vista ambientale, meno consumi e meno inquinamento, sia, a medio termine, dal punto di vista economico.

Tornando a noi ritengo semplicemente inconcepibile che nel 2009 un Programma Integrato di Intervento non tenga minimamente conto degli aspetti sopra descritti, cercando di far passare stereotipi obsoleti per architettura e studi affrettati, superficiali e non del tutto a norma di legge per studi urbanistici e di impatto paesaggistico di ultima generazione. Non si sta andando a rivalutare una zona, ma a creare l’ennesimo episodio di sfruttamento del territorio e delle risorse, rischiando anche di collezionare una bella serie di appartamenti invenduti. A proposito concordo con quanto scritto da Roberto e non voglio cadere in una ripetizione.

Spero che il sig. anonimo di un Futuro per Solbiate sia riuscito a seguire il mio contorto ragionamento, che abbia un pochino allargato gli orizzonti della sua personale e distorta concezione di architettura e che possa chiarirmi un dubbio a proposito della verticalità.

Con l’espressione “prediligere la verticalità” esprimevo il mio consenso nel portare da due a quattro i piani fuori terra, come approvato dalla variante al PRG. Sarebbe poi solo buona cosa se i piani diventassero anche cinque o sei, permettendo così la riduzione di superficie coperta. E’ una verticalità riferita chiaramente alla scala urbana in oggetto, ovvero a Solbiate e non ad una metropoli.

Mi chiedo poi perché si sia rinunciato alla destinazione mista, sono innumerevoli gli esempi di medie strutture al piano terra di edifici residenziali. Sicuramente una tipologia del genere richiedeva un minimo sforzo progettuale, e non l’inserimento quasi casuale di format preconfezionati, privi di valore e di significato.

E che non mi si dica “è solo un progetto di massima”, questo è un progetto esecutivo.

Alcuni chiarimenti:

Ho considerato vertiginoso l’incremento delle volumetrie perché quando si presenta un progetto non vi è margine di tolleranza nemmeno di 0,01 mc. Un incremento di 1.400 mc, come lo possiamo definire ? Considerevole? Mi sembra un eufemismo.

Molti dubbi tolgono luce a questo PII, almeno su una questione vorrei trasparenza, la bonifica. A norma di legge non si può convertire ad edilizia una zona di produzione senza adeguati e opportuni interventi e successive verifiche. E’ stata rilevata ancora la presenza di idrocarburi nell’area adiacente all’ex serbatoio, spero non sia la punta dell’iceberg, citata giusto per tutelarsi.

martedì 17 febbraio 2009

Veltroniani si nasce

di Ivan Vaghi

Qualche giorno fa un mio amico mi ha accusato di essere un veltroniano. Da vecchio fan di Star Trek pensavo si riferisse agli abitanti di qualche pianeta lontano, invece parlava proprio di Walter Veltroni. Capirai, gli ho detto, non è che sia una novità. Lui invece mi accusava con cattiveria e anche un po’ di disprezzo, come se Veltroni fosse l’ultimo degli uomini oltre che l’ultimo dei politici. La conversazione poi è svicolata su altri piani ma l’accusa mi ha fatto riflettere, se non altro perché io non è che sia proprio un veltroniano, o perlomeno non pensavo di esserlo. Alle primarie avevo scelto Rosy Bindi (una democristiana, io che votavo Rifondazione…), perché di Veltroni non mi piaceva il profilo troppo basso e la rinuncia alla critica del berlusconismo fino al limite dell’autolesionismo (come purtroppo sta avvenendo). A me della politica piacciono anche gli scontri e le accuse, ovviamente se motivate e dimostrate.

Poi però ho imparato ad apprezzarlo, e non solo perché si sta difendendo con coraggio da un branco di lupi che aspirano alla sua poltrona, ma soprattutto perché mi piace un sacco quello che dice. Chi era con me al Circo Massimo qualche mese fa sa di cosa sto parlando, sto parlando del coraggio di provarci, del coraggio di non cedere alla rassegnazione, del coraggio di cercare a fare di meglio, del coraggio di scegliere un futuro difficile, complicato, ma finalmente degno di essere vissuto. Al mio amico, una brava persona a cui voglio bene, questo coraggio manca completamente, e come a lui manca anche a tutti i suoi politici di riferimento, quelli con i sorrisi stampati e le cravatte intonate, che professano ottimismo a oltranza anche di fronte al rischio di perdere mezzo milione di posti di lavoro nei prossimi mesi (lo dice Confindustria, mica io), che si ostinano a professare l’individualismo come arma segreta per la felicità. Lo slogan di Veltroni è: “si può fare”. Io non lo so se si può fare, di certo se ci rinunci hai sicuramente perso. Chi segue le vicende politiche del nostro paese sente spesso parlare di alleanze strategiche, di tattiche, di ritorno di immagine, chi va un po’ più in profondità si accorge che le campagne elettorali spesso servono a “piazzare” questo o quel candidato. Una democrazia basata sulla gestione del potere. Nella mia mente ho tracciato una linea: al di qua rimangono quelli che non vedono al di là del proprio naso, e che quindi utilizzano la politica per avere dei vantaggi, al di là vanno quelli che si portano in tasca un binocolo, e che quindi pensano che la politica possa essere utilizzata per migliorare la vita delle persone (e spesso l’appartenenza partitica non è determinante nel discriminare i due tipi). Non è un sofismo da quattro soldi, è la differenza tra pensare solo a se stessi e pensare al bene di tutti quanti.

Questo mio amico, e tutti quelli come lui, non ha capito che in “tutti quanti” sono compresi anche i suoi figli. La sua accusa di veltronismo implicherebbe l’accusa di ingenuità, di utopismo, di mancanza di realismo, di scollamento dalla realtà, di snobismo culturale e ideologico, di mancanza di decisione, di inefficienza e di chissà cos’altro. Dall’altra parte invece ci sono quelli che hanno capito tutto e che sanno cosa fare. E’ una vecchia storia, Nixon diceva: “quelli di destra fanno ciò di cui quelli di sinistra parlano solamente”. Un po’ è vero, diciamocelo, però sappiamo anche come è andata a finire, e come è andata a finire con il decisionismo di Craxi (non parlo della galera, parlo del debito pubblico fuori controllo, e non ditemi che Craxi era di sinistra…), e come sta andando a finire con l’efficientismo di Berlusconi. Certo, certo, è colpa della congiuntura internazionale, d’altra parte è sempre colpa della congiuntura, peccato che non gli si possa imputare proprio tutto. Un esempio? Lo smantellamento del sistema scolastico superiore e la rinuncia a coltivare i nostri talenti, così che i ragazzi italiani più dotati stanno andando in massa all’estero privandoci di tutta la prossima possibile classe dirigente. Il risultato è che quella attuale sta invecchiando e i ricambi sono scarsi (di numero e di capacità).

In un mondo che guarda con grandi speranze all’insediamento del nuovo presidente americano e tende un disarmato orecchio alle tristi notizie da Gaza, noi rispondiamo con le dirette televisive sulla cessione di Kakà. Non so proprio dove sia il realismo, la passione politica, la voglia di fare del bene ai nostri concittadini. Capite quindi cosa intendo quando parlo di coraggio? Avere davanti non solo l’agenda della prossima settimana, ma anche il calendario dei prossimi decenni. Siamo costretti a diventare visionari per riuscirci? A rifugiarci nell’ingenuità che la politica possa essere ancora qualcosa di buono e onorevole? A essere “scollati dalla realtà” al punto da pensare che la realtà sia modificabile? Ok, io ci sto. Si può fare. Veltronismo puro.

Mi rendo conto di quanto sia difficile tradurre in pratica tutta questa filosofia, ma mi rendo anche conto che l’alternativa sarebbe un mondo sempre meno vivibile e sempre meno attraente, in cui si cercherebbe di fare sempre più soldi fino a quando non sarà più fisicamente possibile e allora sarebbe forse troppo tardi, in cui le persone saranno sempre più individui e sempre meno cittadini. Quella linea ideale che ho tracciato nella mia mente (chiamiamola pure, woytilianamente, “soglia della speranza”), è quella che per me distinguerà gli uomini dai bambini, i coraggiosi dai pavidi, i rassegnati dagli speranzosi, i veri ottimisti dai realisti senza sogni. Ma abbiamo anche l’obbligo di provare a mettere in pratica tutto quanto. Il Dalai Lama (par condicio…) dice che ci sono solo due giorni all’anno in cui non si può fare niente, ieri e domani. Questo vuol dire che è oggi il giorno, è questo il momento, il nostro futuro è già cominciato e abbiamo il dovere di tenerne conto. Sono quindi arrivato alla conclusione che in effetti sono veltroniano, e forse lo sono sempre stato, da prima ancora di sapere chi fosse Veltroni. Forse veltroniani si nasce e io, come diceva Totò, lo nacqui.

lunedì 9 febbraio 2009

Area ex-Rovelli. Una possibile descrizione.

di Stefano Catone

L'obiettivo di questo scritto è fornire una descrizione accurata e comprensibile a tutti del Piano Integrato di Intervento (PII) previsto per l'area ex-Rovelli. Naturalmente verranno considerati sia i punti favorevoli che i punti critici del progetto, nell'intento di creare un'immagine obiettiva. Non possiedo conoscenze eccellenti nel campo edilizio/urbanistico, ma non per questo mi sono fatto spaventare: ho cercato di raccogliere tutte le informazioni possibili e di metterle assieme secondo una logica.

La ex-Sir non è più attiva dal 1983, e da allora nessuno se ne è più occupato, aprendo le porte al degrado dell'area: al momento sono presenti circa 110.000 m3 di edifici. Nel 1997 una variante al Piano Regolatore Generale (PRG) ha reso possibile la costruzione di urbano residenziale (30.000 m3) e commerciale (5.000 m3). La superficie massima di vendita di ogni unità era prevista in 400 m2. L'area non è stata toccata neppure negli anni del boom edilizio.

Nel settembre 2007 l'immobiliare DELCO (immobiliare DELCO era il nome anche della Società proprietaria dello stabile negli anni passati. La differenza con la società attuale è che la prima aveva sede a Busto, mentre la seconda ha sede a Bergamo ed è controllata da una società satellite, la Cormano srl, del Gruppo Costruzioni Begnini, l’attuale proprietario) presenta un piano di intervento che presenta alcune richieste di variante rispetto al PRG; tra le più evidenti un aumento del 10% della cubatura sia del residenziale che del commerciale e l'accorpamento del commerciale in un'unica struttura.

Nel gennaio 2008 viene dato avvio al procedimento del PII in variante al PRG, tra cui la richiesta di esclusione dalla VAS (Valutazione Ambientale Strategica). Tale procedura, che porterà all'approvazione del PII nel Consiglio comunale del 22 gennaio 2009, è stata eseguita senza che fosse stato adottato il Piano di Governo del Territorio, uno strumento urbanistico (introdotto da una legge regionale del 2005) che andrà a sostituire il PRG e che ha lo scopo di definire l'assetto dell'intero territorio comunale. Le peculiarità del PGT sono la partecipazione della popolazione alla sua elaborazione e la sua multidimensionalità: geologica, ambientale, urbanistica, viabilistica, infrastrutturale, economica, sociale e culturale, nonché dal punto di vista dei servizi alla persona.

Veniamo ora alla descrizione del progetto approvato.

Il commerciale è stato suddiviso in due unità, per un totale di 1.500 m2 di vendita (galleria compresa) e 500 m2 di magazzino. La cubatura è passata da un massimo di 5.000 a 6.400 m3. La cubatura inerente al residenziale è rimasta invariata. L'altezza delle palazzine è crescente, dai 2 piani delle palazzine su via Mazzini, a 3 piani, a 3 piani più sottotetto abitabile nella zona adiacente la struttura di distribuzione.

Il viale alberato di via Rossini non verrà toccato; i parcheggi saranno posti all'interno del complesso e le aree verdi all'interno saranno di uso pubblico. Inoltre il parcheggio del commerciale sarà fruibile liberamente durante i periodi estivi coincidenti con le feste.

Il costruttore provvederà alla costruzione delle fognature di via Mazzini, alla sistemazione della piccola area verde che ora si trova tra il parco delle feste e via dei Patrioti e la sistemazione dell'incrocio tra via Patrioti e via Rossini.

La stima dell'aumento di popolazione indotta è di 250/300 unità, che non dovrebbero creare alcun problema alla rete di servizi comunali. 

In totale il Comune di Solbiate Olona incasserà 2.500.000 euro.

Ecco alcune immagini del progetto:







Naturalmente è da salutare con piacere un progetto che riqualifica una zona in disuso e abbandonata da più di venti anni (ove tra l'altro è presente dell'amianto), ma data l'ampiezza del progetto è inevitabile che siano sorti alcuni interrogativi.

Confrontando le richieste iniziali del costruttore con il PII balza immediatamente all'occhio che si è passati da una richiesta di aumento della cubatura del 10% per il residenziale e del 10% del commerciale ad un aumento del 28% del commerciale mentre il residenziale è rimasto come previsto dal PRG.

Il piccolo triangolo di zona bianca indicato nella figura sottostante non rientrava inizialmente nel comparto su cui intervenire, (probabilmente destinato a miglioramenti viabilistici dell'incrocio); con la variante del PRG il perimetro del comparto di intervento è stato modificato, andando a comprendere anche questa zona.








L'argomento portato nel documento di esclusione della VAS è che “in caso contrario non sarebbero bonificabili porzioni di opificio parzialmente ricadenti sull'ex area bianca del PRG”. Guardando l'immagine satellitare qui sotto è evidente come in quella zona non ricadano porzioni di opificio, ma solamente mura perimetrali.






Un ulteriore dubbio inerente alla variante al PRG riguarda la distanza minima, dal parco delle feste, a partire dalla quale è possibile costruire: si è passati da 10 a 5 mt. Tale distanza originale era pensata in funzione del disturbo sonoro che potrebbe essere arrecato dalle feste nel periodo estivo: 10 mt e una folta barriera di alberi avrebbero contenuto sicuramente di più il disturbo.

Un altro argomento che ritengo sia necessario trattare riguarda l'assenza di impianti per lo sfruttamento delle energie alternative (impianti fotovoltaici, pannelli solari, ecc.). Un progetto di queste dimensioni, comprendente una media struttura commerciale, non può non essere al passo coi tempi. Non si tratta neppure di un investimento a lungo termine: il problema energetico è uno dei problemi che più gravano sulla nostra società. Forse un investimento per le energie rinnovabili avrebbe anche incentivato e invogliato altri solbiatesi a muoversi in questa direzione. Tenendo conto che l'area è comunque privata, speriamo in successive contrattazioni in quest'ottica. Addirittura qualcuno ha detto che questo campo potrebbe funzionare da volano per l'economia.

L'indagine conoscitiva del sistema di distribuzione comunale sostiene che Solbiate sia carente di esercizi di vicinato. Di conseguenza, si sostiene, la nuova struttura andrà a soddisfare la domanda di prodotti alimentari generata dai residenti.

Il problema fondamentale, a parere mio, è che nello svolgere la valutazione del rapporto tra domanda e offerta non è stata considerata l'offerta dell'Iper, argomentando che, per collocazione spaziale e per dimensioni, è rivolta ad un bacino d'utenza sovracomunale. Si tratta di un argomento che ha in sé le ragioni della sua debolezza: “sovracomunale” non significa “extracomunale”. I solbiatesi si recano (eccome) a comprare beni alimentari all'Iper: è stupido escludere questa struttura dall'offerta rivolta ai cittadini solbiatesi! Non è un'offerta rivolta al 100% della popolazione quella dell'Iper (ad esempio i non automuniti) ma è rivolta ad una grande maggioranza dei solbiatesi. Non mettiamo in dubbio che l'Iper potrebbe non risentire di una nuova struttura (avendo utenza sovracomunale), ma ciò non significa affatto che l'offerta per i solbiatesi sia scarsa. I solbiatesi rappresenteranno una minima parte degli utenti dell'Iper, ma ciò non vuol dire che una minima parte dei solbiatesi si rechi all'Iper: è stato compiuto un evidente salto logico. La conclusione è che questo studio non è realistico sulle conseguenze che una nuova struttura avrà sugli esercizi di vicinato esistenti e non dimostra che ci sarà un beneficio per le persone che non possono spostarsi in quanto non dimostra la non sufficienza dell'offerta loro rivolta.

In secondo luogo queste constatazioni sono aggravate dal fatto che nell'indagine l'Iper viene considerato come un unico esercizio commerciale, dimenticandosi completamente dei negozi al suo interno.

Un ultimo punto, che in parte si ricollega alla questione della “zona bianca”, riguarda la viabilità. Lamentiamo l'assenza di uno studio viabilistico che comprenda l'incrocio tra via VI Novembre e via dei Patrioti.

Per concludere, sono stati rilevati alcuni punti su cui si sono concentrate delle osservazioni critiche. È indubbia la necessità di un intervento sulla zona in questione, in primo luogo per i problemi ambientali e di salute che potrebbe causare, ed in secondo luogo per rivalutare un paesaggio di degrado. La critica finale è che un maggior coinvolgimento della popolazione, in vista di un intervento che potrà condizionare la vita dei solbiatesi, oltre che dovuto, avrebbe potuto assicurare un migliore e più condiviso progetto.

domenica 8 febbraio 2009

L'amaca, di Michele Serra

tratto da "La Repubblica" del 8 febbraio 2009

Forse sono diventato ipersensibile, come chiunque, da anni, senta lo stesso vecchio chiodo piantarsi nella stessa vecchia ferita. Ma ogni volta che Berlusconi pronuncia anche una sola parola sulla famiglia Englaro mi sento umiliato dalla sua grossolanità morale. Al consueto effetto dell’elefante nel negozio di porcellane si aggiunge la totale incongruenza tra un argomento così alto e un livello così basso. Specie quando costui osa addentrarsi in dettagli –come dire - fisiologici, che riguardano un corpo inerte e lo strazio quasi ventennale di chi la veglia e la cura,mi si rivolta lo stomaco. Un argomento che anche i filosofi accostano con sorvegliatissima prudenza diventa, in bocca a lui, la ciancia superficiale di un importuno, per giunta dotato di poteri enormi, che in genere agli importuni non vengono affidati.

In questi giorni siamo di fronte a un doloroso strappo istituzionale e costituzionale, ma forse perfino più dolorosi sono gli sgarri verbali che il premier si è concesso, blaterando di gravidanze e di “bell’aspetto”. Chissà se, di fronte a questo osceno spettacolo, almeno qualcuno dei suoi elettori ha potuto aprire gli occhi. L’illusione è che esista una soglia oltre la quale finalmente la passione politica si fa da parte, e lascia il posto alla valutazione umana. Non posso credere che essere di destra, oggi in Italia, significhi rassegnarsi a essere rappresentati da uno di quella fatta.


mercoledì 4 febbraio 2009

Ci hanno scippATO?

di Ivan Vaghi

Intendo l’acqua potabile. Mi rendo conto che ai più l’acronimo A.ATO suonerà oscuro. Vuol dire Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale, un Ente istituito dalla Legge n. 36 del 5 gennaio 1994, che si occupa delle disposizioni in materia di risorse idriche. Cito dal sito della Provincia di Varese: “Più precisamente essa prevede la riorganizzazione dei servizi idrici mediante la costituzione di Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) mirati al superamento della frammentazione gestionale esistente attraverso l’integrazione territoriale (definizione di bacini d’utenza di dimensione ottimale) e l’integrazione funzionale delle diverse attività del ciclo idrico (acquedotto – fognatura – depurazione).” Che tradotto (si sono completamente dimenticati la punteggiatura) vuol dire che si deve occupare della razionalizzazione delle risorse idriche e di tutte le attività legate all’utilizzo dell’acqua. In particolare i compiti dell’A.ATO sono: la pianificazione degli interventi attraverso il Piano d’Ambito (che prevede l’analisi dello stato dei servizi, strategia di eventuali interventi, definizione di un piano finanziario e di un modello gestionale); l’affidamento del servizio idrico a un gestore; il controllo del servizio e dell’attività del gestore, di fatto qualificandosi come garante dei servizi idrici.

Fin qui…. ma qual è l’inghippo? Forse ce n’è più di uno. Il primo è che l’art. 9, comma 1 della “Convenzione per la costituzione del consorzio tra enti locali ricompresi nell’ambito territoriale ottimale” recita: “L’A.ATO organizza … il SII (Sistema Idrico Integrato), separando obbligatoriamente l’attività di gestione di reti ed impianti dall’attività di erogazione dei servizi”.

Caspita. Gli impianti rimangono degli enti locali, l’attività di gestione è a carico dell’A.ATO (ente pubblico), ma l’attività di erogazione, cioè il gestore? Il sito della Provincia definisce gestore: uno o più soggetti di tipo industriale, con rapporto contrattuale ben definito. Quindi possono essere, e probabilmente saranno, dei privati, che si occuperanno dell’approvvigionamento idrico dei cittadini facendosi pagare per questo. Possiamo dire che ci hanno scippATO l’acqua potabile, di fatto privatizzandola (seppur in parte)? Il dubbio è forte. E’ vero che l’A.ATO dovrebbe controllare che non succedano abusi, e speriamo che lo faccia sul serio, ma c’è un’altra questione abbastanza inquietante. Siccome infatti gli impianti rimangono agli enti locali, sono loro che si devono occupare della manutenzione straordinaria e di tutte le spese relative alla progettazione e alla realizzazione di nuovi impianti o di opere di miglioramento, mentre i privati-gestori si preoccuperanno solo della manutenzione ordinaria e della parte amministrativa legata alla bollettizzazione. Tutti i soldi delle bollette rimangono al gestore (privato), che ha sì un contratto con l’ente pubblico, ma sicuramente ci vorrà guadagnare. Siamo sicuri che tutto questo non porterà ad un aumento della bolletta dell’acqua? E’ ovvio che andrà a finire così.

A suo tempo (scorsa amministrazione) Solbiate Olona si era impegnata, insieme a pochi altri, a non far avviare in Lombardia il processo di privatizzazione dell’acqua potabile, e qualche risultato era stato ottenuto, ad esempio che si aprisse un dibattito sulla questione, che si rivedessero certi criteri e che ci si ragionasse su. In teoria anche l’attuale amministrazione sembrava voler percorrere questa strada. Mi auto-cito da un articolo pubblicato sul blog (La politica solbiatese spiegata al mio gatto) parlando dell’intervento al nostro circolo di un consigliere di maggioranza (l’anno scorso): Ha orgogliosamente sottolineato che Solbiate non ha accettato né mai lo farà (se non con la forza) di sottoscrivere la richiesta di intervento provinciale sulle strutture idriche, intervento che Solbiate ha fatto autonomamente e con lungimiranza, e che ora potrebbe essere neutralizzato a causa del versamento di nuovi fondi per intervenire in quei comuni che invece se ne sono disinteressati.”

La questione era stata dibattuta anche durante l’incontro che abbiamo avuto con il nostro candidato al consiglio provinciale Millefanti (anche questo sul blog): “Altro problema è quello della gestione dell’acqua. La Lombardia ha stabilito che ci debba essere un solo gestore per ogni provincia. Reguzzoni (ex presidente della Provincia) aveva pensato di unire in consorzio i gestori di Varese, Busto Arsizio e Gallarate (controllate dalla Lega, ovviamente), affidandogli la gestione dell’acqua di tutta la provincia. Non solo, i costi di adeguamento della rete idrica di alcuni comuni dovevano spalmarsi su tutti i comuni, a danno di quei comuni virtuosi che in questi anni hanno affrontato e risolto il problema autonomamente.” Entrambi questi articoli non sono stati smentiti, quindi dobbiamo presumere che il contenuto corrisponde a verità.

A un certo punto però mi sono imbattuto in un articolo apparso su Varese News del 23 novembre 2006, cioè circa due anni prima dell’incontro con il nostro consigliere. Riporto la parte iniziale dell’articolo: Sventata l’ipotesi del commissariamento dei “comuni ribelli” che si sono rifiutati nelle scorse settimane di sottoscrivere l’adesione all’ATO (Ambito territoriale ottimale) che in futuro dovrà coordinare e gestire il ciclo delle acque di tutta la provincia. Giovedì mattina, 23 novembre, il responsabile della segreteria tecnica dell’ATO, Franco Taddei, ha incontrato in comune a Tradate i sindaci di Lonate Ceppino, Castelseprio, Castiglione Olona, Caronno Varesino e, appunto, Tradate. La tensione all’inizio dell’incontro era alta, soprattutto perché questi comuni erano gli unici della provincia ad aver sollevato problemi sulle competenze future dell’ATO, dalla proprietà degli impianti al modello gestionale degli acquedotti e, quindi, alla regolazione delle future tariffe per i cittadini.”

Sbaglio o Solbiate Olona non è presente nell’elenco dei comuni che non avrebbero accettato l’adesione al piano provinciale di gestione delle acque? Nonostante fosse uno dei comuni virtuosi e nonostante la nuova normativa lo avrebbe danneggiato? Il nostro consigliere forse si era distratto, o forse non lo avevano avvertito che il nostro sindaco era in procinto, come è avvenuto il 21 gennaio del 2009, di entrare nel consiglio di amministrazione proprio dell’A.ATO.

La discussione e i rilievi fatti da alcuni sindaci hanno comunque portato a qualche risultato, ad esempio la proprietà degli impianti è rimasta ai comuni, una specie di compromesso sulla via della privatizzazione. Dal mio punto di vista credo che l’acqua potabile sia un bene inalienabile e penso che debba rimanere completamente pubblico, ma per alcuni è un business come un altro. Quello che non ho ben capito è da che parte sta Solbiate Olona, dalla parte del business di qualcuno o dalla parte dei diritti di tutti? Attendo ansiosamente delucidazioni in merito, magari con qualche informazione relativa al ruolo che Solbiate ha avuto in tutta questa storia.