sabato 22 maggio 2010

Muti alla meta


Ho sentito molti lamentarsi, ieri, al sit in davanti a Montecitorio: quando poi sarà troppo tardi quelli che non hanno fatto niente, quelli che non sono venuti si mangeranno i gomiti. Quando sarà troppo tardi. Quante volte lo avete sentito dire, lo avete pensato in questi mesi? Presto sarà tardi. È già tardi adesso. Stefano Rodotà dice, nelle pagine interne: «La libertà di espressione è un elemento fondativo delle democrazie e se viene toccata c'è oggettivamente un cambiamento di regime». Gerardo D'Ambrosio: «Vogliono impedirci di sapere le cose. Anche quelle di rilevanza sociale. Una norma spaventosa. Così scivoliamo neppure tanto lentamente verso uno stato autoritario». Tuttavia non basta che parlino i saggi e i sapienti, che migliaia di persone spediscano i loro messaggi e le loro foto coi bavagli sul web, che Michele Santoro dica sono stanco di essere assediato, che Maria Luisa Busi rinunci al suo lavoro pur di non mettere la faccia nel tg del padrone. Non basta che giornali come il nostro siano strangolati dalla assenza quasi assoluta di imprese private e pubbliche che vogliano fare qui pubblicità eseguendo gli ordini del Capo, niente inserzioni è un giornale politico, dicono all'unisono ipocrita come se i giornali di governo non fossero politici, come se politico non fosse ogni gesto quotidiano, ormai, come se non fosse resistenza quella di chi si ostina a fare ancora il suo mestiere, raccontare i fatti, raccogliere e mettere una accanto all'altra le opinioni, rivelare quel che i furbi vogliono nascondere, raccontare il paese che stiamo diventando. Come se i 330 mila lettori di questo giornale non accendessero ogni giorno la luce nelle loro case, non viaggiassero in treno in macchina in aereo, non mettessero i francobolli sulle buste e non avessero conti correnti in banca: come se non esistessero nella speranza che presto non esistano più. Non basta, tutto questo, e sapete perché? «Perché la televisione non ne parla - diceva ieri in piazza una signora di Padova - sono capitata qui per caso, non ne sapevo nulla. Sa, io non mi posso permettere di comprare il giornale, è caro, ho tre figli e mio marito è rimasto vittima di una ristrutturazione, siamo a Roma oggi perché ha un colloquio di lavoro, speriamo... ». Vittima di una ristrutturazione. La tv di questo non parla perciò gli italiani - sette su dieci si informano attraverso la tv, 7 su 10 - non sanno. Ecco l'arcano, non era difficile. Sono anni che lo ripetiamo come una litania: il regime è prima mediatico, è ipnosi collettiva, è una dittatura che si fonda sulla distrazione dalla disperazione. La crisi economica lo favorisce, non lo frena. Sorridete, c'è il quiz a premi in tv.
Ora siamo a un passo. Muti alla meta. Il regime è colloso, impalpabile, arrogante. Quando avranno cancellato ogni traccia della corruzione che dilaga, della mafia dei colletti bianchi, delle 'ndranghete che eleggono i loro parlamentari non ci sarà più né corruzione, né mafia. Basta non parlarne, sapete? Spariranno. La narcosi collettiva fa spavento. Ieri è venuto il sottosegretario alla Giustizia Usa a dircelo: senza le intercettazioni sparirà la lotta alla criminalità. Quei comunisti degli americani. Peggio delle toghe rosse, dei giornalisti dell'Unità. Non facciamogli pubblicità.

1 commento:

Dronning ha detto...

Aggiungerei anche il divieto di criticare il governo da parte degli insegnanti. Prove tecniche di regime: sottile, di lunga prospettiva, paziente, discreto, instancabile. A questo punto ci vogliono le prove tecniche di Resistenza.
Ivan Vaghi