mercoledì 10 luglio 2013

Gli anni del podestà (parte prima)

Una volta il sindaco si chiamava podestà, era la più alta carica politica dei comuni medievali ed esercitava tutte le cariche, anche quella di polizia. Il termine fu ripreso in epoca fascista perché al primo cittadino fu di nuovo affidata la totalità dei poteri. Podestà dal latino potestas, che vuol dire potere. Potere assoluto, insindacabile, inappellabile.
C’è chi ne ha nostalgia. Li chiamano appunto “nostalgici”, del ventennio.
Non sono mica tanto lontani sapete?
C’è chi viene eletto sindaco e poi si comporta da podestà: ordina, dispone, non accetta suggerimenti e non ascolta nessuno. Poi si circonda di persone che gli dicono sempre di sì, scelte accuratamente in modo da non potergli fare ombra. In questo modo il podestà attiva un circuito autoreferenziale che aumenta la sua autostima, già sufficientemente esagerata in partenza, che lo rende incapace di ammettere di poter mai fare o dire o pensare qualcosa di sbagliato. Se qualcosa non funziona la colpa ovviamente non è sua, ma dei disfattisti, dei provocatori e di chi non obbedisce ciecamente. Oppure di chi si presta a chissà quali scopi oscuri, a chissà quali complotti contro la sua persona. 
Cosa manca? Ovvio, la propaganda. Un paio di ministri della propaganda vanno bene, pensati e organizzati per far passare solo una parte delle notizie, quelle che fanno più presa sui cittadini, che ovviamente non dovranno mai essere valorizzati, a cui non deve mai essere chiesto di pensare con la propria testa e a cui non si deve mai insegnare come capire veramente i percorsi delle decisioni.
Le commissioni? Non servono a niente, anzi, danno fastidio.
La Pro Loco? Lavora per farla diventare il suo MinCulPop*.
La Protezione civile? Gli piacerebbe molto poterla usare come sua guardia pretoriana personale.
Se a qualcuno non sta bene i ministri della propaganda sapranno come sbarazzarsene.
I nostalgici non sono mica tanto lontani.
Poi c’è la politica. Ah beh! La politica per il podestà è il peggiore dei nemici. Si affretta, appena eletto, a chiamarsene fuori, accusandola di essere il ricettacolo di ogni male: chi espone una opinione diversa da quella del podestà è un vile che agisce per motivi “politici”, che vuole insinuare la bestia della politica nella allegra armonia delle sue scelte esclusive. Ma in realtà quello che fa paura al podestà è che la politica insegna a pensare, ad avere un’opinione, a fare deduzioni, a capire le dinamiche, a decidere da che parte stare, a non farsi abbindolare dai gatti e le volpi di turno (i due ministri della propaganda, per esempio). È per questo che va bandita: chi pensa è un nemico perché il podestà non vuole cittadini, vuole sudditi.
Il sistema purtroppo funziona, ha sempre funzionato, probabilmente funzionerà ancora.
Al podestà non interessa che questo atteggiamento non eleva il potenziale dei cittadini, che non fa capire loro che la conoscenza è il primo passo per la consapevolezza che a sua volta è il primo passo della partecipazione che a sua volta è il passaggio fondamentale per migliorare la vita dei cittadini.
Causarum cognitio: conoscenza delle cause, delle motivazioni, dei problemi. Bisognerebbe sapere da dove bisogna partire e progettare la strada per uscirne. Tutti insieme. Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne da soli è egoismo, sortirne insieme è politica (don Milani).
Al podestà questa cosa fa paura perché ha il culto di se stesso, che poi vuol dire egoismo. Meglio regalare qualche pranzo, fare il paternalista, togliere qualche tassa antipatica (facendola pagare in qualche altro modo, senza pubblicità) e poi stendere la sua pietosa mano in attesa che venga baciata.
Ha sempre funzionato, funzionerà ancora?


* Si tratta dell’abbreviazione di Ministero della cultura popolare, l’organo utilizzato dal fascismo per controllare la cultura (leggi censura) e per organizzare e propagandare l’ideologia fascista.

Raffaello – Stanza della segnatura. Trionfo della Filosofia.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

A proposito di Don Milani,ricordo un suo libro dal titolo:"L'obbedienza non è più una virtù".
I tempi e il contesto sono cambiati ma il senso di questo messaggio è sempre lo stesso.E' rivolto a coloro che non hanno il coraggio di far volere il proprio pensiero e lasciare che gli altri decidono per loro!!

Anonimo ha detto...

Non vedo l'ora di leggere "Gli anni del podestà" parte seconda.