di Ivan Vaghi
Anni
fa, ormai molti, ascoltavo spesso la canzone di un gruppo sconosciuto ai più intitolata
“Where were you hiding when the storm broke?” (Dove ti stavi nascondendo quando
è scoppiata la tempesta?). Parla di quelli che amano stare al chiuso dei loro
recinti e lasciano che i problemi vengano risolti dagli altri, anche nei
momenti più difficili. Ogni tanto mi ritorna in mente, magari quando sento di
due ragazze che vengono rapite mentre stanno cercando di risolvere qualche
problema. Prototipo di quelli che non si nascondono, ma che anzi si buttano in
mezzo alla tempesta se è necessario farlo.
Dieci
anni fa Simona Torretta, un’amica di una coppia di miei amici, era stata rapita
insieme a Simona Pari in Iraq. Erano due cooperanti di “Un ponte per..”. Sarà
perché quelli che parlano di ponti mi hanno sempre suscitato più ammirazione di
quelli che parlano di muri (e di recinti), sarà perché c’era una maggiore
vicinanza, ma la vicenda mi aveva particolarmente coinvolto. Al punto da
trovare rivoltanti le “critiche”, chiamiamole così, di quelli che al sicuro dei
loro recinti puntavano il dito contro quelle due ragazze così sciocche, secondo
loro, da andare in luoghi tanto pericolosi per aiutare la gente.
Quando
ho saputo di Greta e Vanessa sapevo che questi fenomeni da baraccone si
sarebbero ancora fatti sentire, cosa puntualmente avvenuta. “C’è tanta da gente
da aiutare anche qui” è l’accusa più benevola. “Sono incoscienti, provocano più
problemi di quelli che risolvono” è invece quella più cinica. Tralascio le
battutine volgari e quelle più stupide, figlie di personaggi psicologicamente
turbati e provati da una vita piena di frustrazione e fallimenti. Il problema
non sono loro, sono tutti quelli che si sentono più furbi degli altri perché nei
loro recinti queste cose non succedono, e si sentono in dovere di farlo sapere
a tutti. Si credono furbi. Credono di aver capito tutto della vita e di poterla
insegnare agli altri. Credono che un muro sia infinitamente più efficiente di
un ponte. Non riescono nemmeno a notare che i ponti sono sempre rimasti mentre
i muri sono sempre stati abbattuti.
La colpa
è di quella cattiva coscienza collettiva che impedisce a molti di vedere le cose dalla giusta prospettiva.
Viene costruito uno schermo di autoprotezione davanti ai nostri occhi perché
l’autostima è una componente fondamentale della nostra vita quotidiana e non
possiamo sopportare l’idea che esista qualcuno che ci può far capire quanto
siamo inadeguati e quanto siamo legati a quelle piccole banalità che abbiamo
eletto a comodi luoghi di rifugio. C’è qualcuno che non può sopportare che ci siano
persone migliori di quanto loro potranno mai essere e di rivelare quanto siano
banali e ordinarie le loro vite. Qualcuno, per proteggersi, pensa
inconsciamente che la soluzione è versare loro addosso tutto il fango
possibile. Sminuirle per sentirsi alla pari, o superiori.
Viviamo
in un mondo così, in cui due ragazze di vent’anni sentono l’urgenza di svolgere
un compito che dovrebbe essere responsabilità delle istituzioni internazionali.
Sono la buona coscienza di un mondo cinico che si nasconde nella tempesta, che
manda i più coraggiosi a riparare i danni provocati da millenni di muri e di incomprensioni.
Calvino
diceva: “Se alzi un muro pensa a cosa lasci fuori”. Vanessa e Greta sono là
fuori, al di là del muro della nostra cattiva coscienza. Sono preziose, vanno
salvaguardate. Non solo le loro persone fisiche, ma il significato che portano
con sé, loro malgrado. Chi parte con uno zaino pieno di medicine non lo fa per
diventare un simbolo o per avere riscontro mediatico, come quei politici che
vanno in zona di guerra (dicono loro, in realtà molto lontano dalle zone
veramente pericolose) portandosi al seguito decine di giornalisti su un volo di
stato e assicurandosi il passaggio in prima serata televisiva. Chi parte come
hanno fatto Vanessa e Greta lo fa perché è consapevole che salvare anche una
sola vita può giustificare un’intera esistenza.
Dal
Talmud, libro sacro dell’Ebraismo: “Chi salva una vita salva il mondo intero”.
Quella
canzone diceva “torna nel tuo rifugio se proprio non ce la fai a liberartene”.
Per cui tornate nei vostri rifugi se proprio non volete rinunciare alla vostra
cattiva coscienza, così calda e confortevole, però almeno state zitti. Lasciate
che il lavoro difficile venga svolto dai veri uomini e dalle vere donne, come
Greta e Vanessa. Chi va in mezzo alla tempesta è consapevole dei rischi che
corre ed è consapevole che i danni sono peggiori e più difficili da riparare.
Chi va in mezzo alla tempesta forse, in cuor suo, sa che c’è una possibilità di
non tornare o di affrontare brutte esperienze, però ci va lo stesso. È questo
che fa la differenza.
Where were you hiding when the storm broke, when the rain began to fall
The Alarm
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