venerdì 1 agosto 2014

Mi sono svegliato a Gaza

di Ivan Vaghi

Questa mattina mi sono svegliato a Gaza. Fino a qualche tempo fa svegliarsi era un sollievo, essere ancora vivi da queste parti è una notizia. Adesso è solo un giorno in più, forse di sofferenza, chissà se ne vale la pena. La prima cosa che fai alla mattina è l'elenco mentale dei posti in cui ti sposterai con la convinzione che potrebbe essere colpito e che non ce n’è uno che puoi considerare sicuro. Gli israeliani dicono che quelli di Hamas usano i civili come scudi umani. Io questo non lo so, la cosa certa è che loro non si fanno nessuno scrupolo a sparare contro quegli scudi umani, un modo impersonale per non usare la parola bambini, donne, anziani, uomini innocenti. Uccido te adesso perché tu forse, un giorno, ucciderai me. Questa è la loro logica.

Hanno bombardato anche le scuole dell’ONU. Io non sono un uomo colto, ma lo so che diverse risoluzioni dell’ONU contro Israele non sono mai state rispettate. Sparare contro l’ONU mi sembra un gesto fin troppo significativo di sfida. Forti dell’appoggio americano e occidentale hanno sempre pensato che potessero fare finta di niente, che le decisioni di politica internazionale andavano bene solo se erano a favore di Israele e non contro. Non mi sembra onesto ma non ho nemmeno voglia di giudicare. Essere nati a Gaza probabilmente è stata solo sfortuna.

Siamo nati e cresciuti con la possibilità di scegliere in che modo morire, combattendo o sotto le bombe, da innocenti. È quello che ci siamo sentiti dire troppo spesso e non ho intenzione di giudicare nemmeno quelli che hanno scelto la prima ipotesi. Si sceglie di combattere per rabbia o per paura, per disperazione o per vendetta, o perché ci sembra che non sia rimasto niente per cui valga la pena vivere. Dio? Per quello che mi riguarda è solo un’altra cosa da bestemmiare, un’altra cosa contro cui prendersela, per spostare la sofferenza e la frustrazione. Per altri è una speranza e una consolazione, in entrambi i casi è un modo per sopravvivere.

I bambini di Gaza continuano ad andare a scuola, quelli che possono, continuano a giocare per strada, continuano a sfidare la morte. Fanno bene. Ti uccidono veramente solo quando ti costringono a non essere quello che sei e a non fare quello che desideri, quando ti obbligano a rintanarti nelle fogne come un topo, quando ti costringono ad avere paura per il solo fatto di vivere. Morire sotto le bombe può essere un’alternativa auspicabile.


Forse stasera tornerò a casa ancora vivo, forse domani mattina mi sveglierò ancora a Gaza. O forse a Damasco. Il mondo è pieno di posti in cui si può scomparire nell’indifferenza del mondo. C’è l’imbarazzo della scelta.

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