di Ivan Vaghi
Siamo tutti vittime dei nostri limiti. Ci piacerebbe non fare mai errori, pensare sempre in modo positivo, elaborare le migliori idee e applicare le riflessioni più corrette. Ma siamo sostanzialmente diversi, perché abbiamo una componente oscura nella nostra anima, chi più chi meno. Ce l’hanno i singoli individui, ce l’hanno i popoli. Questa parte oscura viene tenuta a bada dall’organizzazione statale e dalle convenzioni sociali, dall’educazione e dall’istruzione, dai concetto di collettività e di collaborazione, dalle leggi e dai tribunali, dall’intelligenza e dalla saggezza. Non sempre tutto questo è sufficiente e la componente oscura a volta riaffiora, a volte esplode.
C’è un
tempo per nascere e un tempo per morire. Non abbiamo nessun controllo sul dove e
quando ci capita di nascere e quindi nessun controllo sul condizionamento che
siamo costretti a subire durante la nostra vita. Il libero arbitrio può essere
un’arma troppo debole per troppe persone e per molte altre la morte può essere
solo la consolazione di una vita ingiusta e viene ricercata con impegno. Per
molti altri sarà solo la cinicamente logica conclusione di un’esistenza non
meritata, iniziata in luoghi dimenticati dalla misericordia di Dio, continuata
tra povertà, disperazione e violenza e conclusa nella stiva di una bagnarola
affondata nel Mediterraneo, tra i commenti di scherno di chi è stato più
fortunato alla nascita e non si accorge di quanto la componente oscura stia
prevalendo su di loro.
Un tempo
per uccidere e un tempo per guarire, un
tempo per demolire e un tempo per costruire. Uccidere non è mai qualcosa
che riguarda solo chi muore ma anche e soprattutto chi rimane in vita. Riguarda
chi uccide, riguarda chi assiste e chi ne sente parlare, anche se si trova
molto lontano dalla sede di un giornale parigino. Uccidere risveglia la componente
oscura di tutti, e chi uccide spesso lo sa. Risveglia la rabbia, la paura, il
sentimento di vendetta, l’istinto di sopravvivenza. La voglia di proteggere il
nostro mondo che viene confuso con la voglia di demolire quello di chi sentiamo
nostro nemico. E ogni volta è sempre più complicato guarire, sempre più
difficile costruire.
Un tempo
per piangere e un tempo per ridere. Un tempo in cui i fumetti ci fanno ridere e
un tempo in cui dobbiamo piangere chi li ha disegnati.
Un tempo
per serbare e un tempo per buttare via. La componente buona della nostra anima
agisce in tempi lunghi, laboriosi, aggiunge piccoli mattoni ma spesso non ha
abbastanza cemento, basta una spallata o anche solo una spinta e crolla tutto.
La pace si costruisce attraverso i secoli, per la guerra basta premere un
grilletto. Per costruire popoli consapevoli servono i migliori sforzi delle
migliori menti di molte generazioni, per rovinare tutto bastano pochi atti
folli e poche parole assurde di pochi irresponsabili. Siamo vittime dei nostri
limiti, ostaggi della parte oscura delle nostre anime.
Un tempo
per tacere e un tempo per parlare. A patto di scegliere i momenti giusti, c’è
un tempo in cui si parla e invece si dovrebbe stare zitti e un altro in cui si
rimane in silenzio per dolore, paura o indifferenza, e invece bisognerebbe
parlare, anzi urlare.
Un tempo
per amare e un tempo per odiare. Nugoli di folle festanti che inneggiano a
dittatori sanguinari, campi di sterminio a pochi passi da tranquilli paesi di
campagna dove la vita prosegue come nulla fosse, ovazioni ai roghi dei libri,
esecuzioni in piazze esultanti di persone condannate per le loro opinioni.
Riguarda solo il nostro passato? Migliaia di “like” a chi chiede di sterminare
i musulmani da piccoli, pagine e pagine di giornali in cui stimati
intellettuali inneggiano alla guerra di religione, alla guerra di civiltà,
rigurgiti razzisti sempre più intensi e violenti, organizzazioni militari
spietate che uccidono in nome di un dio che si vergogna di loro. Soprattutto
milioni di persone in cui si sta insinuando il dubbio che la tolleranza e il
rispetto siano solo un grande inganno, illusi da decine di furbi che vogliono
fare carriera politica sfruttando le loro paure. L’odio è la conseguenza logica
della paura, il figlio prediletto della rabbia. L’odio è autocatalitico,
alimenta se stesso, diventa sempre più forte. Bisognerebbe ucciderlo da piccolo
ma c’è il rischio che non sia questo il tempo. Forse, purtroppo, questo è il
tempo per odiare.
Tutti
sono diretti verso le medesimo dimora: tutto è venuto dalla polvere e tutto
ritorna nella polvere. L’odio ci impedisce di guardare oltre noi stessi, ci impedisce
di capire che niente dura in eterno, che nessuno è meglio di nessun altro. Ci
lega al momento, all’attimo in cui proviamo più dolore e più rabbia, ci lusinga
con la prospettiva che distruggere i nostri nemici ci farà stare meglio. Ci
impedisce di capire che i nemici esistono solo se vogliamo che esistano, e vale
per tutti, a oriente come a occidente. Ci impedisce di ricordare che siamo
destinati a tornare polvere, e che saremo giudicato per quanto abbiamo saputo
amare e per quanto abbiamo odiato.
Mi sono accorto che
nulla c'è di meglio per l'uomo che godere delle sue opere, perché questa è la
sua sorte. (Ecclesiaste, 3:1-21)
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