martedì 16 giugno 2015

C'è un altro tipo di futuro

«Non siamo nati mica ieri, Capatàz».

No, non siamo nati mica ieri. Il Partito Democratico è stato l’unico partito del quale ho avuto la tessera e che, nel mio piccolo, ho contribuito a fondare, e a far vivere nel mio comune, Solbiate Olona, e nella mia provincia, la provincia di Varese. Tanto ho dato, ma soprattutto tanto ho ricevuto, da compagni di viaggio che sono stati – e continueranno a essere - prima di tutto amici, e che ringrazio infinitamente.

«Non siamo mica prigionieri di questa bella modernità».

Sì, perché questa presunta modernità non ci piace, non è nostra. Non è mia. Questa modernità in cui bisogna vincere per vincere, e il governo dei processi e le scelte politiche diventano gestione del potere. E non ci si scontra per delle idee, ma per la gestione del potere, appunto: che le riforme (ah, le riforme) siano in contraddizione rispetto a quanto abbiamo sempre sostenuto, rispetto a quanto c’era scritto nel programma di Italia Bene Comune, non sembra essere un problema. Tutto ciò non è mio.

«Se provi ad aprire la finestra, Capatàz, e coi tuoi occhi guardi fuori / Quante persone che non contano, e invece contano».

Contano eccome. Eppure non le rappresentiamo più. L’astensione cresce di elezione in elezione, ma il premier e Segretario del Partito Democratico non se ne preoccupa, perché l’unica cosa che conta è vincere. Il solco tra rappresentati e rappresentanti si amplia, e spesso è più profondo se i rappresentati vivono in condizioni di difficoltà. Per me è un problema, e per me quelle persone contano.

«Stanno soltanto aspettando un segno, Capataz / Questo vecchio segno, quando cambia il tempo / Quando cambia il tempo arriverà».

Come lo capiamo se il tempo è cambiato? Pensavamo fosse cambiato nel 2011, con i referendum sull’acqua, e con la vittoria di Milano, e pensavamo che questo processo sarebbe culminato nel febbraio 2013. Così non è stato. Nel febbraio 2013 è cominciata un’altra storia, segnata sin dall’inizio dal tradimento nei confronti di Romano Prodi, e con lui di un’idea di democrazia fondata sull’alternanza. Una storia che ora si consolida giorno dopo giorno, e della quale non mi sento più parte. Ecco perché ho deciso di non rinnovare più la tessera del Partito Democratico.

«C’è un altro tipo di futuro, Capatàz».

Sì, c’è un altro tipo di futuro. Costruito insieme a quelli «che non contano, e invece contano». Un futuro che abbia «l’uguaglianza come motore, come condizione di partenza tra le persone, nei diritti e nei doveri e, appunto, nelle possibilità».

Domenica parteciperò all’Assemblea fondativa di Possibile. E lo farò con lo stesso entusiasmo con il quale ho fondato il Partito Democratico, per costruire una proposta di governo con i piedi saldi nel centrosinistra e contemporanea: aperta alla partecipazione di base che non scade nell’assemblearismo finto (al quale ci hanno abituato le Direzioni del Partito Democratico nell’ultimo anno e mezzo) e con parole d’ordine precise e chiare sui temi che la politica finora ha ignorato.

C’è un altro tipo di futuro. Un futuro Possibile.



2 commenti:

Anonimo ha detto...

Non siamo noi che usciamo dal PD perché il PD che noi abbiamo contribuito a fondare e fare crescere non esiste più. E’ diventato un partito padronale, dove comanda uno solo con una protervia ed arroganza che neanche Berlusconi si permetteva in Forza Italia. Il PD si è snaturato, non può chiamarsi democratico un partito che non accetta un confronto, una dialettica interna, dove chi la pensa in maniera diversa dal capo è deriso e visto come un menagramo o peggio un boicottatore. Un partito dove il capo è stato eletto con le primarie e adesso dice che le vuole abolire, un partito che fa leggi che tolgono diritti ai lavoratori; leggi che per vent’anni abbiamo impedito di fare al centro-destra. Un partito che fa una legge elettorale dove chi vince comanda su tutto, senza rendersi conto che può vince la destra, come hanno dimostrato le elezioni di pochi giorni fa. Un partito dove il segretario nazionale non apre gli occhi sulla crescente disaffezione di molti militanti, non rendendosi conto che senza il loro impegno il partito non esisterà più, anche perché i giovani non votano PD. Sono deluso e amareggiato della deriva del PD e capisco lo stato d’animo di Stefano, con cui ho condiviso l’impegno politico in questi anni, apprezzando in lui la pacatezza, l’equilibrio e la capacità di analisi, nonostante la giovanissima età. Credo anch’io che sia ancora POSSIBILE fare qualcosa di buono per il nostro Paese, nel rispetto dei valori di legalità, solidarietà, uguaglianza e democrazia.
Roberto Colombo

Anonimo ha detto...

Come amici niente ci separerà…..la politica oggi sembra separarci.
Sono dell'idea che il PD è nato per dare risposte riformiste al futuro e con la vocazione e l’aspirazione di rappresentare la maggioranza degli italiani.
Grazie per quanto hai dato al Nostro Circolo...
Lascerai un grande vuoto ….
Spero in un futuro incontro..
Nino Amadore