venerdì 11 giugno 2010

Perché non sono federalista

di Ivan Vaghi

Il dibattito è aperto da tempo, se vogliamo è l’unica indicazione puramente politica introdotta dalla Lega, e adesso sembra che il procedere verso il federalismo sia quasi inevitabile. Lo stesso PD è sostanzialmente favorevole al federalismo fiscale, anche se queste aperture sembrano quasi avere l’aria di un tentativo di recuperare terreno perduto affrontando gli stessi argomenti che hanno fatto la fortuna proprio della Lega. Si corre il rischio di essere patetici, e anche se il concetto ha sicuramente senso in politica la domanda è: siamo sicuri che possa contribuire a risolvere i mali del nostro paese?

A suo tempo Cavour e soci, di fronte alla decisione se costituire uno stato federale o centralista, scelsero quest’ultimo, perché l’Italia era talmente disomogenea che decentralizzare il potere faceva correre il rischio di alimentare spinte separatiste, che avrebbero vanificato tutto il lavoro di unificazione. A distanza di 150 anni purtroppo le cose non sono migliorate granché e quel concetto resta a mio parere valido. Il federalismo fiscale avrebbe come risultato di scavare ancora di più le differenze tra Nord e Sud, e sarebbe il vero cavallo di Troia del federalismo politico, che a sua volta, alla lunga, potrebbe essere l’abbrivio per una vera e propria secessione. La Lega questo lo sa bene, o perlomeno ci spera, il PD non lo so.

Io non sono federalista e non sono nemmeno favorevole al federalismo fiscale perché quello che conta è come vengono amministrati i soldi, non quanti sono. La Lega, che diventerà la vera protagonista politica di uno stato federalista del Nord, si è già resa corresponsabile della moltiplicazione del numero delle provincie, ad esempio, così come della corsa alle poltrone che più sono meglio è e ce le prendiamo tutte noi. Ho timore di come verrà gestita la spesa pubblica nelle loro mani, così come sono terrorizzato dalla piega che prenderanno aspetti strategici come la scuola, la cultura, la ricerca. La Lega è la quintessenza della versione egoistica della politica e della società, e il Nord Italia correrà l’ulteriore rischio di essere isolata politicamente a livello internazionale. Lo sappiamo bene cosa Bossi e soci pensano dell’Europa, a meno che non si tratti delle poltrone di Strasburgo.

Per il Sud invece il federalismo fiscale sarebbe una tragedia, perché la politica assistenzialista di questi 150 anni ha reso le regioni meridionali dipendenti in ogni modo dalla fiscalità dello Stato italiano. Il mancato accesso a questi fondi consegnerebbe il Sud Italia all’area economica del Nord Africa. E’ chiaro che bisogna intervenire, ed energicamente, con riforme anche strutturali. Bisogna stimolare l’attività privata per trasferire dallo Stato alle imprese parte del peso economico del mantenimento della famiglie. Ma la bacchetta magica non è il federalismo, che anzi toglierebbe risorse potenzialmente utili per gli investimenti, quanto la (vera) lotta alla criminalità organizzata e l’emancipazione del Sud dal suo ruolo di semplice riserva di voti (attraverso l’assistenzialismo), che sono stati il vero limite al suo sviluppo sociale ed economico. Ma queste sono scelte politiche che può fare anche uno stato centralista, ma non è detto che le faccia uno stato federalista solo perché è tale. In Italia quindi il federalismo, compreso quello fiscale, non risolverebbe i problemi, o perlomeno non di tutti gli italiani. A meno che non vogliamo più considerarci un popolo.

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