giovedì 5 agosto 2010

Astensionismi

di Ivan Vaghi

Andiamo, ci siamo cascati tutti una volta o l’altra. L’astensionismo è una sirena particolarmente efficiente nelle sue lusinghe. A me è capitato una volta: era l’ottobre 1981, durante un’assemblea studentesca in cui si doveva votare uno sciopero per una questione di importanza galattica, al punto che non me la ricordo neanche. Si viveva nell’onda lunga degli anni ’70, la strage di Bologna era solo di un anno prima, i cuori battevano ancora forte, e gli studenti dell’epoca continuavano a pensare che per cambiare il mondo era sufficiente alzare la voce. Per un quattordicenne che fino a tre mesi prima frequentava un istituto religioso si trattava di uno shock culturale, e la parola “astensione” suonava come una deliziosa via di fuga. Da allora ho sempre pensato che l’astensionismo non fosse niente di più, il rifugio di chi non vuole prendere decisioni, e mi sono ripromesso che non ci sarei più cascato.

“Il sì è sì e il no è no”, diceva Gesù di Nazareth. E il resto? “Viene dal maligno”, rincarava con un vago accento accusatorio. O dalla politica, aggiungo io più modestamente, che con il maligno a volte condivide accezioni sinistre e oscure. Non per niente l’astensionismo, la volontà precisa di non dire né sì né no, è una comune pratica politica. Uno può sempre dire, malignamente, di non essersi sbagliato.

Tutto questo a presentazione dell’evento politico più importante delle ultime settimane, cioè il voto per la mozione di sfiducia al sottosegretario Caliendo, che è stato il battesimo del fuoco per il nuovo gruppo parlamentare Futuro e libertà per l’Italia, meglio noto come “i finiani”. Che si è astenuto… Alla mia età dovrei smetterla di essere sorpreso. I finiani hanno litigato con Berlusconi anche per questo motivo, ritengono che vada rispettato l’articolo 54 della Costituzione che parla di impegno e onore da parte di chi ricopre incarichi pubblici, che tutti questi personaggi “chiacchierati” (eufemismo) nel PdL non vanno bene, che chi è indagato per reati gravi dovrebbe fare un passo indietro. Ecc. ecc., via a pescare nella retorica del buon governo. Retorica sì, solo chiacchiere, perché quando hanno dovuto votare mica lo hanno sfiduciato a Caliendo. Volete sapere come la penso? E’ stato un avvertimento a Berlusconi: adesso siamo noi che decidiamo la strategia del governo, altrimenti lo facciamo cadere, i numeri sono dalla nostra. I più raffinati la chiamano “golden share”, io la chiamo “mozione Mastella”, la possibilità cioè che una componente molto minoritaria di un governo tenga per le palle tutto l’esecutivo. Se volete chiamatelo ricatto, perché quello è.

Non solo i finiani però si sono astenuti, anche l’UDC ad esempio, o quell’altro cuor di leone di Rutelli. Casini dice che “non vuole mischiarsi ai giustizialisti”. Certo, perché in Italia chi commette reati è una vittima mentre chi li persegue è un forcaiolo giustizialista. Ovviamente solo se sono coinvolti dei politici. Anche qui, a parer mio, c’è dell’altro, si può notare cioè una prova tecnica di futura maggioranza: Casini, Fini, il cagnolino Rutelli, ci aggiungiamo Montezemolo, forse Draghi, e i vari fuoriusciti dagli altri schieramenti che nella nuova DC vedranno anche il nuovo poltronificio. Intanto si sono scaldati con questo maligno astensionismo che ha valore esclusivamente politico, e in questo sono d’accordo con Berlusconi, perché la sostanza del voto, cioè se Caliendo aveva la fiducia del Parlamento a continuare il suo lavoro oppure no, non aveva la minima importanza.

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