domenica 7 novembre 2010

Cavour, Mazzini e Garibaldi

di Ivan Vaghi

L’incontro organizzato ieri pomeriggio a Solbiate, evento clou delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, si è concentrato sui tre personaggi simbolo del Risorgimento. E’ stato messo in evidenza come il carattere, l’inclinazione e se vogliamo anche le speranze dei tre, spesso dissimili, non abbiano impedito loro di raggiungere un obiettivo comune, che era l’unificazione dell’Italia. In modo certo rocambolesco, attraverso nostre sconfitte oppure vittorie dei nostri alleati più che dell’esercito piemontese, dopo avventure velleitarie e immaginifiche come la spedizione dei Mille e aspettando magari le disavventure dei francesi a Sedan. In ogni caso e contro pronostico il risultato è stato portato a casa. Forse semplicemente era nel nostro destino.

Mazzini il filosofo politico, un po’ utopista o semplicemente troppo avanti per i tempi, ma ispiratore di una generazione, o meglio, la generazione, quella che ha unificato la nostra nazione. Una generazione di figli che hanno combattuto e di madri che li hanno mandati a combattere. La generazione, e dobbiamo dirlo, che ha sfidato gli anatemi della Chiesa che tuonava contro le “pretese” di un gruppo di staterelli che ambiva a diventare popolo. E non si può dimenticare che il più accanito oppositore dell’Unità, papa Pio IX, è stato da poco proclamato beato, a dimostrazione forse che la ferita, quella di Porta Pia, non è ancora del tutto sanata.

Cavour lo statista geniale e pragmatico, che ha saputo isolare la questione italiana e far sì che le grandi potenze la considerassero una questione locale che avrebbe avuto il merito di indebolire l’Austria. Francesi e inglesi quindi hanno lasciato fare e Cavour ha fatto, prima, durante e dopo le guerre di indipendenza, anche se il dopo è stato purtroppo troppo breve visto che è morto nel 1861. La discussione aperta è se una vita più lunga di Cavour avrebbe permesso di costruire basi più solide per uno stato appena nato e che era stato separato per secoli.

Garibaldi l’eroe popolare, anarchico guascone e straordinario comandante, il nostro miglior generale senza aver mai fatto parte dell’esercito. Eccessivo, libertino e coraggioso, accettò il sacrificio della sua Nizza in cambio del bene supremo del nuovo Stato.

I tre non si amavano, si tirarono anche qualche colpo basso, gareggiavano in ambizione, ma sapevano di avere in qualche modo bisogno l’uno dell’altro perché riassumevano le qualità che servivano per un’opera così straordinaria e difficile: pensiero e azione, ma anche diplomazia e determinazione, coraggio e prudenza. Ogni cosa a suo tempo. Il coraggio di avere dei sogni e il coraggio di volerli realizzare.

Che cosa è rimasto a 150 anni di distanza? Purtroppo sembra abbastanza poco. Le derive isolazioniste della Lega, e il peso politico che purtroppo riesce ad avere, stanno mettendo in soffitta il principio stesso degli sforzi unificatrici di quella generazione di italiani. I nostri ragazzi hanno idee troppo vaghe, o addirittura nessuna idea e nessuna notizia su quell’epoca e quei personaggi, è come un vecchio libro chiuso nella libreria della memoria di qualcuno. Vecchi ritratti e vecchie frasi retoriche. Invece è stata un’epoca gloriosa ed eroica, magari anche fortunata, se non altro per aver incocciato in simili personaggi, ma non per questo di meno valore. In questo contesto si inserisce la riflessione forse più interessante di tutta la serata: di chi la responsabilità e quali sono le contromisure? Bisogna ancora una volta tornare ai principi del Risorgimento e tirare fuori il concetto di responsabilità: abbiamo la responsabilità di conoscere, coltivare e approfondire la nostra storia, perché è la concatenazione degli eventi che ci ha fatto diventare quelli che siamo. Nessuno ha mai detto che sia facile o poco faticoso, ma non per questo dobbiamo essere esentati da questo compito. Anche l’eccessiva ricerca della semplificazione per far sì che la storia non sia solo materia da cenacolo può essere un’arma a doppio taglio. L’obiettivo della divulgazione non deve essere quello di “abbassare” il livello della discussione per renderlo accessibile a tutti, ma piuttosto di lavorare perché più persone possibili siano in grado di accedere alla cultura in generale. I livelli bisogna alzarli, non abbassarli, le opere divulgative sono fondamentali, ma devono essere la porta di ingresso e non il porto di arrivo.

In quest’ottica è sicuramente meritoria l’iniziativa della nostra amministrazione, purché abbia un seguito. L’idea è quella di riproporla annualmente per dar vita a quello che viene definito Centro studi di Storia Patria (forse sarebbe più corretto definirle Giornate di studio, visto che non sarà una struttura residenziale), con la presenza di giornalisti, studiosi e storici di livello nazionale. Unica critica che mi sento di muovere è il fatto che sia stato di fatto disconosciuto il principio motore di questo incontro, cioè portare discussioni di grande livello e approfondimento in mezzo alla gente perché tutti ne possano usufruire: sarebbe stato più coerente dare la possibilità al pubblico di fare domande e, perché no, partecipare alla discussione. Suggerimento per la prossima edizione, quale sia l’argomento: una serata “preparatoria” aperta alla cittadinanza in cui viene presentato l’argomento, stimolata una discussione e preparata una lista di domande da presentare agli esperti perché ne diano un’opinione e sulla quale stimolare ulteriori discussioni. Se dobbiamo prenderci la responsabilità di “essere protagonisti della nostra storia”, che era il sottotitolo della manifestazione, dobbiamo avere la possibilità di farlo.

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