giovedì 26 febbraio 2009

Architettura sostenibile? Si può fare! - Parte Prima


di Maria Cristina De Simone

A due settimane dall’assemblea pubblica ancora nessuna risposta da parte dell’amministrazione, sono delusa, poco importa, non voglio fare politica, voglio continuare a parlare di architettura, di urbanistica e di qualità dell’abitare, perché riguarda ognuno di noi.

L’ architettura non è paragonabile alle altre forme d’arte, si può scegliere o di entrare in una galleria d’arte, in un museo o di condividere un’esperienza artistica di qualunque natura, ma non si può sfuggire all’architettura, è intorno a noi, la utilizziamo abitudinari e inconsapevoli a volte, critici o entusiasti in altri momenti. Non importa se il nostro ruolo è quello di tecnici, professionisti o attori sociali, tutti viviamo l’architettura e la realtà urbana. A noi la scelta: essere fruitori stolti e passivi o consapevoli.

Riporto alcuni pensieri di un noto architetto, Vittoriano Viganò.

La tecnologia è voce fondamentale del fare architettura… Personalmente trovo che ogni qualvolta la tecnologia è suscitatrice di potenziali applicativi nuovi, di metodologie nuove, di una nuova configurazione, essa sia di interesse estremo… Ho piena coscienza che facendo architettura, o spazi semplicemente abitabili, noi condizioniamo violentemente l’interlocutore e la sua esistenza. Si può essere dei prevaricatori, così come possiamo essere grandi suscitatori di compiacimento conoscitivo. E’ l’essenza del progetto e di chi, come noi, deve progettare per gli altri. E’ un rapporto di rischio ma anche una possibilità a cui non possiamo sottrarci. L’esperienza del progetto è un’esperienza di crescita, per tutti”.

( Milano, 14 dicembre 1994 - studio Viganò - , E. Faroldi, M. Pilar Vettori, “Dialoghi di Architettura”, Alinea, Firenze 2004 )

Ho scelto queste parole perché sono al di sopra delle mode del momento, perché sono lontane dagli onori della cronaca e perché mi auguro inducano a riflettere: sono state scritte quasi quindici anni fa, ma sono straordinariamente attuali.

Progettare oggi, senza dimenticare una delle voci fondamentali dell’architettura, la tecnologia, significa progettare in maniera sostenibile, come ho già scritto e come è stato ribadito da professionisti affermati durante l’assemblea del 12 febbraio.

L’innovazione tecnologica è lo strumento principale per raggiungere obiettivi strategici quali l’ecoefficienza e la sostenibilità ambientale.

Ma cosa si intende per progettazione sostenibile (o ambientale )?

Semplificando ai minimi termini significa progettare manufatti architettonici che non inquinano, non solo durante tutto il loro ciclo vitale, ma anche durante la progettazione e la dismissione. Il nostro sistema di sviluppo ha prodotto uno stato di degrado ambientale che ha raggiunto la soglia di emergenza e che pone l’uomo di fronte all’obbligo di riesaminare il rapporto tra sfruttamento delle risorse e qualità dell’habitat.

Gli edifici consumano oltre il 40% dell’energia utilizzata in Europa, e sono i maggiori produttori di CO2 (si è gia parlato in questo blog di protocollo di Kyoto, vorrei ricordare anche quello di Montreal). L’efficientismo tecnologico ha reso possibile condizioni di confort in edifici simili, ubicabili in qualsiasi realtà geografica, che richiedono però il ricorso ad una serie di dispositivi impiantistici che prevedono lo sfruttamento di energie non rinnovabili e ad alto consumo.

Ma la storia evolutiva dell’architettura e dell’urbanistica è ricchissima di episodi che sono il frutto di un geniale confronto con l’ambiente, caratterizzati morfologicamente e tipologicamente dagli elementi naturali del luogo, ovvero da clima, orografia, vegetazione, materiali locali, orientamento e sfruttamento solare passivo, e dalle conoscenze da parte delle popolazioni delle elementari nozioni di meteorologia, delle prestazioni fisico-termiche dei materiali e dell’uso ottimale delle forme e del territorio. Questo genere di architettura è riuscita ad ottimizzare un principio fondamentale: massima efficienza con il minimo dispendio di energie.

Tale rapporto viene definito Sostenibile, perché caratterizzato da regole di comportamento non distruttive e finalizzate a uno sfruttamento controllato delle risorse.

Alcune linee guida della progettazione ambientale si possono sintetizzare in :

- Basso consumo energetico

- Basso costo nelle fasi di gestione

- Basso impatto di impiego materico

- Riduzione delle risorse

- Riutilizzo dei materiali e dei componenti

- Riciclaggio dei prodotti

Un particolare standard costruttivo finalizzato alla riduzione dei consumi energetici dell’edificio e alla sostenibilità ambientale è l’edificio Passivo.

Gli edifici Passivi centro europei sono progettati per massimizzare gli apporti energetici solari e le sorgenti di calore interne con l’eventuale supporto di una pompa di calore, ma evitando l’impianto di riscaldamento convenzionale. Hanno un involucro esterno fortemente coibentato e privo di ponti termici, un microclima interno gestito quasi interamente da un impianto di ventilazione meccanica controllata e un fabbisogno energetico per il riscaldamento non superiore ai 15 kWh/(m2a).

Un edificio Passivo comporta generalmente un maggiore investimento economico iniziale, rispetto ad un identico edificio convenzionale, dovuto principalmente ad un maggiore costo dell’involucro opaco (spessore degli isolanti), e alla migliore qualità dei serramenti, destinato però a ripagarsi in breve tempo. Infatti l’eliminazione dell’impianto di riscaldamento convenzionale compensa in parte i maggiori oneri iniziali, ma sono soprattutto i ridotti costi di esercizio che permettono un ammortamento dei costi aggiuntivi in meno di dieci anni, rendendo l’edificio Passivo una proposta vantaggiosa sia dal punto di vista ambientale, meno consumi e meno inquinamento, sia, a medio termine, dal punto di vista economico.

Tornando a noi ritengo semplicemente inconcepibile che nel 2009 un Programma Integrato di Intervento non tenga minimamente conto degli aspetti sopra descritti, cercando di far passare stereotipi obsoleti per architettura e studi affrettati, superficiali e non del tutto a norma di legge per studi urbanistici e di impatto paesaggistico di ultima generazione. Non si sta andando a rivalutare una zona, ma a creare l’ennesimo episodio di sfruttamento del territorio e delle risorse, rischiando anche di collezionare una bella serie di appartamenti invenduti. A proposito concordo con quanto scritto da Roberto e non voglio cadere in una ripetizione.

Spero che il sig. anonimo di un Futuro per Solbiate sia riuscito a seguire il mio contorto ragionamento, che abbia un pochino allargato gli orizzonti della sua personale e distorta concezione di architettura e che possa chiarirmi un dubbio a proposito della verticalità.

Con l’espressione “prediligere la verticalità” esprimevo il mio consenso nel portare da due a quattro i piani fuori terra, come approvato dalla variante al PRG. Sarebbe poi solo buona cosa se i piani diventassero anche cinque o sei, permettendo così la riduzione di superficie coperta. E’ una verticalità riferita chiaramente alla scala urbana in oggetto, ovvero a Solbiate e non ad una metropoli.

Mi chiedo poi perché si sia rinunciato alla destinazione mista, sono innumerevoli gli esempi di medie strutture al piano terra di edifici residenziali. Sicuramente una tipologia del genere richiedeva un minimo sforzo progettuale, e non l’inserimento quasi casuale di format preconfezionati, privi di valore e di significato.

E che non mi si dica “è solo un progetto di massima”, questo è un progetto esecutivo.

Alcuni chiarimenti:

Ho considerato vertiginoso l’incremento delle volumetrie perché quando si presenta un progetto non vi è margine di tolleranza nemmeno di 0,01 mc. Un incremento di 1.400 mc, come lo possiamo definire ? Considerevole? Mi sembra un eufemismo.

Molti dubbi tolgono luce a questo PII, almeno su una questione vorrei trasparenza, la bonifica. A norma di legge non si può convertire ad edilizia una zona di produzione senza adeguati e opportuni interventi e successive verifiche. E’ stata rilevata ancora la presenza di idrocarburi nell’area adiacente all’ex serbatoio, spero non sia la punta dell’iceberg, citata giusto per tutelarsi.

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