mercoledì 8 aprile 2009

Quella cosa chiamata cuore


di Ivan Vaghi

La retorica è il rischio più grande quando si vuole dire qualcosa che riguarda l’animo delle persone. Ma a volte certi rischi bisogna prenderli. L’alternativa sarebbe dire cose banali e superficiali, senza la profondità necessaria per poter parlare veramente con le persone, senza quindi avere la possibilità di arrivare al loro cuore. Quelli della mia generazione non hanno vissuto l’epopea della passione politica del dopoguerra, pur con tutti i limiti di un paese a sovranità limitata come è stato l’Italia, ma hanno conosciuto i veleni del terrorismo politico, le arroganze delle partitocrazie, la vergogna di Tangentopoli, l’abbandono degli ideali a vantaggio di una politica di mercato, o meglio del mercato della politica. Difficile trovare le risorse per riuscire di nuovo a smuovere le coscienze e convincerle a seguire principi universali e inalienabili. E’ tutto relativo, tutto si presta a discussione e interpretazione, tutto dipende dalla convenienza, tutto si riduce a non perdere i voti di chi ha interessi particolari che vanno in qualche modo tutelati. Quanti sono quelli che, in tutta onestà, sono in grado di dire quali sono le differenze tra destra e sinistra? Si votano le persone che hanno più sex-appeal, più possibilità comunicative, che fanno le promesse più roboanti, ma che cosa c’è veramente dietro e soprattutto dentro non importa a nessuno, perché tanto, opinione comune, sono tutti uguali. Per le generazioni più giovani il problema non si pone, tra di loro impera il disinteresse e quindi chissenefrega.
Solo che se non ti occupi di politica la politica si occuperà di te, e lascio ai più scaltri la distinzione tra le due accezioni diverse del termine “occupare”. La politica lasciata nelle mani esclusive dei professionisti della politica può diventare qualcosa di pericoloso perché come minimo tende a perpetrare se stessa ad oltranza, a qualunque costo e contro chiunque, a cominciare dagli stessi cittadini. E la politica senza cittadini diventa autoritarismo, imposizione dall’alto, mancanza di democrazia. Non dipende da nessuno se non da noi, siamo solo noi che possiamo invertire la tendenza e lo possiamo fare solo ripartendo da noi stessi.
Il primo passo è quello di riuscire a mantenere la posizione, di non rinunciare ad altre porzioni del nostro raziocinio, delle nostre capacità di ragionare e riflettere, delle conquiste che a suo tempo ci siamo guadagnati con fatica o che altri prima hanno guadagnato per noi. E’ una richiesta fin troppo esplicita a non rinunciare alle nostre peculiarità, che sono quelle della socialdemocrazia e dello spirito riformista che ha come supremo interesse quello della collettività. Non abbandoniamo il Partito Democratico, non cediamo alla tentazione di punirlo perché non è ancora riuscito a diventare quello che noi sogniamo o perché non riesce ancora ad esprimere i leader che desideriamo, mica è colpa del PD se Obama è nato a Chicago. Non rinunciamo a riflettere e ad informarci, il Partito Democratico è quel partito che sostiene una vera etica della politica e dell’amministrazione, che è contrario a leggi razziali più o meno mascherate ma a favore dell’integrazione, che avversa il concetto stesso delle ronde di cittadini, che crede nell’energia sostenibile piuttosto che nel nucleare, nella salvaguardia dell’ambiente piuttosto che nelle speculazioni edilizie, che sostiene l’irrinunciabilità a una politica veramente laica, che appoggia la coscienza individuale su questioni importanti come il fine vita, che non accetterà mai di compromettere il nostro futuro smettendo di investire su scuola e ricerca, che non strizza l’occhio agli evasori fiscali ma anzi li contrasta, che fa della solidarietà e delle politiche di welfare una ragione di esistenza e non solo uno slogan da campagna elettorale, che ha sempre rispettato i cittadini come persone e non solo come riserva di voti. La crisi finanziaria e le conseguenti ricadute sull’economia reale sono figlie di un mondo che ci è estraneo, quello del guadagno ad ogni costo e il più velocemente possibile contro quello di una economia sorvegliata e sostenibile e che non sia legata a doppio filo ai magheggi della finanza. Per uscire dalla crisi sono stati riversati sugli istituti di credito centinaia di miliardi di dollari in tutto il mondo in poche ore. Soldi pubblici, soldi di operai, impiegati, lavoratori di tutti i generi che serviranno forse a ricomporre i disastri di pochi speculatori che se ne sono andati senza dimenticarsi buonuscite milionarie. Oppure non se ne sono andati proprio, anche se per colpa loro centinaia di migliaia di quegli stessi lavoratori hanno perso o perderanno il posto di lavoro. Qualcuno calcola che basterebbero cinquanta miliardi di dollari per risolvere il problema della povertà mondiale, ma quei soldi, chissà perché, non si trovano mai.
A questo punto bisogna scegliere e decidere, bisogna tornare a riflettere su di noi e il nostro futuro e tornare a schierarci, decidere con chi stare. Tutti quegli italiani e quei solbiatesi che si riconoscono in questo sistema di valori devono accettare l’idea di doversene fare carico, anche e soprattutto attraverso la politica e attraverso un voto. Piantare i piedi a terra e mantenere la posizione. Non ci avrete, non così, non senza lottare.
Il 6 e 7 giugno ci saranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo. Il Partito Democratico è l’erede di una cultura europeista, al contrario dell’euroscetticismo più o meno dichiarato dei partiti che governano attualmente in Italia. Non si può fermare ciò che è inevitabile: un’Europa unita e multietnica è un concetto non solo giusto ma anche necessario. Non ci sono più gli Stati Uniti a “guardarci le spalle”, l’occidente non è più il faro politico e soprattutto economico del mondo, ci sono sfide importanti da affrontare e lo si può fare solo rinunciando agli individualismi nazionali in nome di un bene comune europeo, perché chi resterà da solo correrà il rischio di farsi schiantare. Se non vogliamo riflettere per noi proviamo a farlo per i nostri figli, per quelli che verranno dopo di noi, e all’Europa che lasceremo loro: in balia di colossi economici e culturali che vengono da est e da ovest oppure una protagonista del mondo futuro, in grado di portare avanti modelli, valori e stili di vita che ci sono peculiari e che appartengono alla nostra storia? Sembra strano ma sta ad ognuno di noi decidere, e potrebbe dipendere dalla forza che ci metteremo per difendere la posizione, dalla voglia che abbiamo di interrogare quella cosa chiamata cuore.
Il 6 e 7 giugno ci saranno anche le elezioni amministrative a Solbiate Olona, ci saremo anche noi, e in che modo e con che forza lo vedrete su queste pagine, e non solo, nei prossimi giorni e nelle prossime settimane.

(E se credete ora che tutto sia come prima
perché avete votato ancora la sicurezza la disciplina,
convinti di allontanare la paura di cambiare,
verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte,
per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti.
F. de Andrè)

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