mercoledì 7 ottobre 2009

Il destino del panda


di Ivan Vaghi

I panda sono destinati all’estinzione. Come Solbiate Olona. Il problema dei panda è che a un certo punto della loro evoluzione hanno fatto una scelta strategica sbagliata, hanno cioè deciso di limitare la loro alimentazione ai soli germogli di bambù, e quando una specie animale commette l’errore di iperspecializzare un suo abituale comportamento l’estinzione è inevitabile, perché basta una piccola variazione dell’ambiente e la specie in questione non è più in grado di adattarsi. Certo, la caccia, la distruzione dell’habitat ecc., sono stati elementi acceleranti il processo, ma l’errore fondamentale, per questa volta, non è stato commesso dall’uomo. La situazione di Solbiate Olona è sostanzialmente simile, perché a un certo punto della sua evoluzione sociale ha deciso di non diversificare le sue proposte comportamentali, rimanendo di fatto legata al modello di relazioni sociali tipico degli anni ’50 dello scorso secolo. Pochi punti di riferimento e sempre i soliti: parrocchia, oratorio, circolo, feste di paese con ballo liscio e salamella, qualche società sportiva, le associazioni d’arma e di ex combattenti (età media imbarazzante), la Pro loco e qualche associazione di volontariato con un impatto sociale, per via di una organizzazione limitata e poco aperta, tutta da dimostrare. Perché sia chiaro, sono e sarò sempre grato a tutti coloro che si impegnano a titolo volontario per qualsiasi cosa, il problema è il contesto, cioè un modello sociale che da altre parti è stato superato da tempo. Non si vuole dare giudizi di merito, le evoluzioni sociali non si possono fermare e sono indipendenti dai contenuti di valori che si portano dietro, succedono e basta, e bisogna essere bravi a tenerne conto nella giusta prospettiva.

Ma perché il nostro tipo di contesto sociale è un problema? Non lo è di per sé, se non per il fatto che il modello sociale degli anni ’50 è per definizione chiuso, o lo si accetta (perché piace) o si viene respinti. Non possiamo far finta di non vedere che a Solbiate Olona non c’è mai stata vera integrazione nei confronti dei nuovi residenti, se non a titolo individuale, perché chi non si riconosce in questo modello socio-culturale non trova altre alternative. Quando anche da noi finiranno gli anni ’50 (e prima o poi capiterà) i solbiatesi perderanno il loro unico modello sociale di riferimento e, non avendone sviluppati altri, non ne avranno nessuno. Come i panda quando finiranno i germogli di bambù. La nostra estinzione non sarà fisica ma di identità, saremo solo un anonimo quartiere del grande centro abitato della Valle Olona, senza piazza (luogo simbolico di aggregazione sociale), senza tradizione, con molti centri commerciali nelle vicinanze, dove la gente va a dormire o a fare la spesa. Certo sarà un destino comune a molti altri piccoli centri, tutti quelli che hanno deciso di rifiutare il confronto con le evoluzioni sociali in atto nel resto del mondo.

Attualmente, ma non dobbiamo permettere che questa cosa ci impedisca di guardare in prospettiva, questo modello di relazioni sociali sta vivendo un periodo molto prospero, grazie in gran parte alle doti organizzative e di entusiasmo di don Emilio, che ha avuto l’intuizione di trasformare l’oratorio in un centro familiare e quindi di aggregazione globale. Questo nuovo corso ha avuto ripercussioni sicuramente positive, ma ha anche contribuito a limitare, forse del tutto, le possibilità di sviluppo di un modello sociale e culturale alternativo. Non certo per colpa di don Emilio, che sta facendo benissimo il suo dovere nel rispetto della sua vocazione e del suo mandato, ma per colpa di una società civile solbiatese, comprese soprattutto le amministrazioni, che è stata passiva e poco lungimirante. Di fatto all’oratorio è stato delegato il mandato di centro di sviluppo sociale e culturale del paese: l’unico vero teatro del paese si trova all’oratorio, le uniche aule disponibili per incontri di varia natura sono all’oratorio (ci faccio anche le assemblee di condominio, tanto per dire), gli unici spazi fisici utilizzabili dai ragazzi sono all’oratorio, la maggior parte delle persone che si impegnano, e qui ci torneremo, gravitano intorno all’oratorio, le associazioni di volontariato sono per lo più espressione dell’oratorio o sue emanazioni, ogni evento di qualsiasi natura si deve confrontare con le attività dell’oratorio, le amministrazioni comunali, soprattutto negli ultimi anni, hanno speso centinaia di migliaia di euro per interventi di cui hanno direttamente beneficiato la parrocchia e l’oratorio. Di fatto a Solbiate Olona non esiste una società civile laica, e quindi non esiste alternativa alla società civile di impronta religiosa. Il germoglio di bambù. Certo se le cose funzionano va bene, ma basta davvero poco perché possano non funzionare più altrettanto bene. Pensiamo solo a cosa succederà quando don Emilio verrà trasferito, perché anche questa cosa succederà presto o tardi. Il rischio che il suo sostituto non abbia altrettante capacità di aggregazione è alto, e quindi è anche alto il rischio di dispersione dell’esperienza aggregante di cui l’oratorio oggi è artefice. E se “cede” l’oratorio comincerà anche a cedere il modello socio-culturale di Solbiate.

Purtroppo le possibilità di costruire un’alternativa laica oggi sono molto basse, sia perché è quasi impossibile convincere le persone di un qualche pericolo quando si è in piena età dell’oro, sia perché l’oratorio stesso è diventato un limite oggettivo, e parlo di risorse umane, per alternative di qualsiasi genere. Mi spiego meglio, in un paese come Solbiate Olona di seimila abitanti scarsi, quante potranno essere le persone che si prendono un impegno continuativo su base volontaria? Duecento è già un bel numero. L’oratorio e la parrocchia da soli, tra catechisti di vario tipo, animatori di varia natura, consiglio pastorale, consiglio economico, coro, gestori del bar, delle strutture e delle iniziative, volontari di vario ordine e grado (compresa la Caritas), ne raccoglie circa un centinaio (se non di più). Gli altri cento sono assorbiti dal gruppo amministrativo, dalle associazioni d’arma e simili, dalla Pro loco, dalla protezione civile, dalle associazioni sportive e di volontariato, insomma dalle istituzioni classiche e irrinunciabili di un qualsiasi centro abitato. Questo vuol dire che qualsiasi tipo di nuova iniziativa culturale laica (perché è sulla cultura che si costruisce l’identità), indipendentemente dalla bontà della proposta e dall’entusiasmo dei proponenti, non ha la possibilità di imporsi nel modo adeguato, perché da una parte c’è l’atteggiamento sospettoso tipico della società anni ’50 nei confronti di chi si propone alternativamente alla parrocchia e all’oratorio, dall’altra c’è proprio la mancanza fisica delle persone che sarebbero disposte a lavorare su queste iniziative, perché il serbatoio da cui si potrebbe potenzialmente attingere è già stato esaurito dalle iniziative dell’oratorio. Il problema viene accentuato dalla situazione economica precaria di questi tempi, che rende difficile anche il reperimento dei fondi necessari. Vuol dire che non ci sono speranze? Ci sarebbero ad una condizione, che si “esca” da Solbiate, che si trovino collaborazioni sovra comunali, provinciali e regionali, ma, viste le esperienze, questo tipo di iniziative gode da noi di ben scarso credito (vedi partecipazione nulla dei solbiatesi ad eventi di carattere culturale organizzati, anche a Solbiate, ma da organizzazioni esterne), mentre invece sono molto apprezzate e seguite nei paesi vicini. Anche questo è un retaggio della chiusura sociale degli anni ’50, quando il campanile del paese vicino era il simbolo del “nemico”. Come i panda quindi siamo destinati all’estinzione, che vorrebbe dire dover rinunciare presto o tardi ad una identità che forse non si è mai veramente sviluppata.

In effetti però c’è in giro qualcuno che cerca di capire come fare per opporsi ad un destino che sembra inevitabile. Ingenui sognatori che da tempo cercano adepti per vari tipi di battaglie perse, novelle cassandre che cercano di mettere in guardia da pericoli talmente evidenti che nessuno riesce a distinguere, come oggetti troppo vicini per riuscire a metterli a fuoco. Siamo noi quelli, panda anche noi certo, ma combattenti, artigli affilati e nessuna voglia di rassegnarsi all’estinzione. Se c’è qualcuno che vuole combattere con noi questa altra battaglia persa, cioè cominciare a costruire una identità solbiatese alternativa, si faccia avanti.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Ivan ,condivido la tua analisi.L'esempio più eclatante è l'acquisto dell'ex oratorio femminile.Non ricordo con precisione quanto è costato a noi contribuenti solbiatesi questa operazione:di certo non poco! Qualcuno mi dirà che era necessario aiutare la parrocchia ad affrontare le onerose spese per la costruzione di un oratorio nuovo e moderno,che comunque,rimane un bene appartenente a tutta la comunità.Mi chiedo:quale comunità?.Oggi più che mai è bene ricordare, che in uno stato democratico e civile esistono due "socità":religiosa e laica.Quest'ultima ,nel nostro caso,potrebbe,giustamente,contestare il fatto di aver visto confluire i soldi delle proprie tasse in questa operazione unilaterale di scambio.Per giunta,ora,le comunità (religiosa e laica) di Solbiate,non conoscono ancora la destinazione di questo edificio fatiscente.Forse in futuro ci saranno altri soldi da spendere mentre già si comincia a grattare il fondo delle casse comunali,per far fronte ai costi dei Servizi,di carattere sociale,sempre più richiesti!
C.P.

Dronning ha detto...

L'ex oratorio femminile credo che sia costato intorno ai settecentomila euro. Nel constatare l'assenza di società civile laica a Solbiate mi sono clamorosamente dimenticato dei partiti politici, anch'essi in buona parte sostanzialmente assenti (parlo di sedi chiaramente identificabili e frequentabili da tutti) che non hanno quindi potuto svolgere il loro ruolo di tramite tra cittadini e istituzioni. Volevo anche chiedere scusa ai Fuori dalle Quinte e all'attività in genere della biblioteca, che invece rappresentano proprio ciò di cui Solbiate Olona ha bisogno. Non li ho citati non perché me li sia dimenticati, ma perché sono attivi in questo modo da troppo poco tempo per fare già parte del tessuto sociale cittadino comunemente condiviso (auguro ai Fuori dalle Quinte di ripercorrere la stessa strada dei Legnanesi, allora sì...)
Ivan Vaghi