lunedì 26 luglio 2010

Le palle di Marchionne

di Ivan Vaghi

L’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne ha recentemente comunicato che verrà costruita in Serbia una fabbrica per produrre un nuovo modello di auto. Perché in Serbia? Perché i sindacati in Italia non sono seri, e perché la Fiat non può permettersi interruzioni di produzione. La causa scatenante di questa scelta sarebbe stato il famoso referendum di Pomigliano (peraltro, se vogliamo dirla tutta, vinto dalla Fiat). Questa è la prima palla, perché il referendum è di due settimane fa, mentre il progetto di costruzione del nuovo impianto in Serbia è già in fase avanzata: è stato stabilito l’investimento, è stato identificato il sito, sono stati presi accordi con lo stato serbo, co-investitore del progetto, è già stato stabilito il piano industriale. Evidentemente tutto questo era impossibile farlo in due settimane, il che vuol dire che è stata una decisione presa da tempo e su cui la Fiat ha lavorato, probabilmente da mesi, con grande impegno.

La delocalizzazione della produzione in paesi dove la manodopera costa meno è un processo iniziato da un po' - la stessa Fiat produce vetture già da tempo in Polonia e Brasile – di per sé quindi non sarebbe nemmeno questa grande novità, allora perché dare la colpa ai sindacati? Per due motivi: il primo è continuare in quell’opera di divisione dei sindacati già cominciata da tempo (e a cui purtroppo i sindacati non riescono ancora a sottrarsi), che vuol dire ridurre il potere di contrattazione dei lavoratori; il secondo è trovare un capro espiatorio per giustificare una decisione che ha lasciato perplessi tutti, a cominciare dalla classe politica, che per una volta ha reagito. Perché ha reagito? Forse perché la Fiat aveva a suo tempo fatto altre promesse. Montezemolo, presidente Fiat, qualche tempo fa si è esibito nella battuta migliore dell’anno, quando ha detto che la sua azienda non ha mai preso un soldo dallo Stato italiano e che gli incentivi alla rottamazione erano un aiuto ai clienti e non alle case automobilistiche. La reazione è stata di ilarità diffusa, ma evidentemente c’era qualche attrito che covava nell’ombra e che ha fatto prendere a Fiat questo tipo di decisione, incurante delle promesse di garanzia di occupazione per i lavoratori Fiat in Italia. Seconda palla quindi, se vogliamo la prima in ordine cronologico: io mi prendo i soldi pubblici e ti prometto che non licenzio nessuno e anzi che rilancio l’occupazione, poi vediamo...

La cosa più inquietante però, passata in secondo piano, è quell’affermazione di Marchionne che dice di “non potersi permettere una interruzione di produzione”, riferita sicuramente alla minaccia di scioperi. Si tratta di una minaccia al limite dello squadrismo: non vogliamo sentire parlare di sindacati e di scioperi per difendere salario e occupazione, altrimenti ce ne andiamo (o licenziamo, come è accaduto recentemente ad alcuni sindacalisti della Fiat). La minaccia evidentemente è rivolta agli operai serbi: si dovranno accontentare di condizioni salariali e di lavoro al di sotto degli standard europei? Il sospetto c’è.

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